IL TRAINING SOCIO-AFFETTIVO-COGNITIVO NEL DEFICIT ATTENTIVO E NELL’IPERATTIVITÀ. Il ruolo delle autoistruzioni verbali

Pubblicato il da Nuccio Salis

Introduzione

 

Scorgendo la letteratura scientifica prodotta in merito al riconoscimento e al trattamento dei disturbi di attenzione nel bambino, si evince come sia l’ambito clinico che quello dell’intervento psicoeducativo strutturato, abbiano col tempo modificato linguaggi e pratiche operative nei confronti di una caratteristica complessa che difficilmente può essere osservata e considerata in modo isolato, in quanto risulta invece più che probabile che i disturbi attentivi si presentino con un carattere di comorbidità che li vedono appaiarsi e congiungersi con altre aree di criticità quali ad esempio l’espressione di comportamenti a tipologia impulsivo-iperattiva.

 

Il percorso storico che ha condotto all’identificazione interconnessa fra deficit attentivo e manifestazione comportamentale iperattiva, appare come il risultato di un’alternanza fra diversi paradigmi in contrapposizione e che potevano affermarsi come dominanti in varie fasi della ricerca e dell’applicazione scientifica. Quando era in auge il comportamentismo, il lemmario e le tecniche utilizzate per fronteggiare le difficoltà dell’apprendimento, si sono rivolte principalmente nel considerare l’area dei comportamenti reattivi e disadattivi, e dunque nel ritenere come la gestione e il controllo di tali espressioni problemiche avrebbe dovuto avere la priorità al fine di preservare la tenuta delle regole generali in merito alla condotta scolastica, ed inoltre con il fine secondario di favorire un migliore orientamento sul compito, programmando un sistema di rinforzi sia positivi e gratificanti per il singolo studenti (premi) che negativi e frustranti (punizioni).

 

Il successo e l’affermazione dell’orientamento cognitivista ha invece rimesso in gioco la portata dei processi mentali sia primari che esecutivi-funzionali più sofisticati. Ciò ha spostato ancora una volta l’interesse degli studiosi e dei didatti verso la centralità del funzionamento e dell’efficacia attentiva, ritenuta la principale responsabile nel pregiudicare (in caso di caratterizzazione deficitaria) la non soddisfacente prestazione nell’ambito del rendimento scolare.

 

Si è dovuta attendere l’edizione aggiornata del DSM (per la precisione la quarta pubblicazione che ha coperto il periodo 1994 – 2013), per poter riconoscere la co-presenza ricorrente fra deficit attentivo e disturbo iperattivo. Tale nuova impostazione ha obbligato clinici, insegnanti ed educatori a rilanciare una visione e dunque una progettualità integrata circa la natura della sindrome descritta con i nuovi protocolli sanitari.

 

D’altra parte, era già il 1977 quando lo psicologo Donald Meichenbaum presentò alla comunità scientifica il metodo dell’approccio integrato, sostanziato dal concetto base che occorresse un’alleanza fra l’impostazione comportamentista e quella cognitivista, al fine di prendersi cura della globalità della persona, superando i modelli compartimentalizzati e monolitici, e sviluppando strumenti più validi ed efficaci per contrastare gli effetti incresciosi della presenza di disturbi attentivi appaiati con i relativi e sempre più osservati comportamenti caotici e non finalizzati.

 

L’impegno e la meta di un funzionale intervento educativo-didattico coincidono con il proposito di alleggerire il peso esorbitante dei principali marcatori della sindrome, i quali invalidano l’efficienza dei processi di apprendimento, dal momento che la facilità alla distrazione unita ad una frequente e costante tendenza all’irritabilità presentano una elevata ed aggressiva intrusività che si palesa come ostacolo al regolare percorso esperienziale dell’apprendimento.

 

L’epicentro della questione riguarda pertanto la possibilità di ideare e collaudare indirizzi strategici e corrispettivi strumenti che possano implementare un piano d’azione rivolto ad aiutare il mantenimento attenzionale ed il controllo autonomo e consapevole da parte dello studente a cui si rivolge l’aiuto.

 

Il focus centrale di lavoro consiste dunque nel tentativo di conservare e potenziare le risorse attentive residue, conservando il principio dell’approccio integrato, ovvero sollecitando la funzionalità attentiva insieme alla formazione su una corretta ed efficace autogestione delle dinamiche comportamentali. L’idea di fondo rimanda a come sia necessario procedere assemblando sia la cura verso i processi cognitivi che la presa in carico dei modelli comportamentali. Ai primi può essere rivolto un programma di addestramento che ne rafforzi gli aspetti deputati all’analisi, al controllo e all’elaborazione attiva dei dati; ai secondi è dedicato un percorso educativo che tende a stimolare e produrre il ricorso a strutture comportamentali adattive che sostituiscano quelle disfunzionali e problemiche.

 

Quale stratagemma può essere impiegato per favorire sia il miglioramento dei processi attentivi che la maturazione di atti comportamentali più idonei e corrispondenti alle regole richieste e generalmente approvate e condivise dall’ambiente sociale? 

 

La tecnica da applicare dovrebbe rispondere all’area dei bisogni più compromessi, specie in merito al diritto di fronteggiare gli ostacoli nel percorso dell’apprendimento ed anche in virtù dell’effetto secondario di disporre di un migliore equilibrio umorale e di una più adeguata immagine di sé, con la conseguenza di accrescere o finalmente favorire la qualità delle alleanze affettive nella propria mappa delle interazioni sociali. Soltanto da questo assunto si comprende come l’intervento si capaciti di un ampio e multidimensionale prospetto nel sostenere i bisogni educativi dell’individuo. Sono infatti toccati gli elementi a carattere cognitivo, affettivo, sociale e comportamentale.

 

Si tratta, entrando oramai nel merito e nel vivo dell’intervento, di  formare ad un atteggiamento che metta in discussione l’irregolarità attentiva e l’iperattività ad essa associata. In pratica, ciò che occorre favorire è un’abitudine alla riflessione e all’assunzione di un tempo che inviti alla calma ed alla ricerca di soluzioni, di fronte ad un compito somministrato che richiede competenze di problem-solving. Bisogna cioè istruire il soggetto a fare riferimento ad una efficace procedura di controllo ed elaborazione dei dati di cui si dispone, al fine anche di attivare processi finalizzati al reperimento di soluzioni innanzi al problema posto.

 

Per poter osservare tale strategia, occorre stabilire e rispettare alcuni punti chiave che facilitino lo studente verso l’acquisizione di un nuovo metodo di studio che tende alla gestione compensativa del deficit attentivo ed alla riduzione di comportamenti inerenti all’area impulsivo-iperattiva.

 

Prima di tutto, qualunque compito presentato dovrà essere opportunamente semplificato, composto cioè in micro-unità didattiche che ne facilitino una visione analitica ed al tempo stesso interconnessa fra le diverse parti che includono il problema. Questo sposterà quella soglia di faticabilità che senza considerare la quale si possono provocare cadute attentive e motivazionali, dal momento che sarebbe per l’appunto rischioso non considerare i tempi, gli stili personali, i bisogni speciali e le predisposizioni che configurano la specificità dello studente a cui viene rivolto l’intervento. Inoltre questo è francamente molto utile per poter sviluppare l’esperienza del raggiungimento degli obiettivi e della buona valutazione, tesa a ridimensionare l’immagine di sé auto-squalificante nonché quell’infimo senso di autoefficacia coi quali l’individuo con DDAI (Deficit di Attenzione e Iperattività) percepisce e descrive se stesso. Egli deve perciò essere guidato a svolgere correttamente un compito ed a ridurre quell’insostenibile carica di ansia e di disfattismo che lo annientano ogni qualvolta si trovi di fronte alla richiesta di una prestazione in ambito scolare. Pertanto è fondamentale disporre di uno scaffolding in grado di generare l’esperienza positiva e soddisfacente del successo scolare. Migliorare sotto questo aspetto risulta spesso la chiave di svolta per il riassestamento delle condizioni ottimali per un apprendimento strategico e dunque motivante.

 

Va aggiunto che lo studente con deficit attentivo avrà maggiori difficoltà rispetto alla media generale degli altri studenti, e che dunque dovrà godere di una osservazione privilegiata e di un intervento mirato che sia orientato a soddisfare gli obiettivi didattici e più ampiamente anche i traguardi educativi preposti. Occorre cioè implementare un programma in grado di far emergere e potenziare le abilità strumentali e le esigenze a carattere socio-affettivo.

Egli ha dunque bisogno di una nuova modalità di gestione del problem-solving che modifichi la sua intemperanza dovuta alla facile distraibilità e tendenza alla perdita di concentrazione, e che si rivela con una certa frequenza e intensità attraverso comportamenti di agitazione motoria, interessi dispersivi e afinalistici, invadenza nei rapporti interpersonali, rottura improvvisa delle dinamiche di gruppo mediante violazione della routine condivisa, agiti che precedono la risposta e il processo riflessivo che dovrebbe esservi a monte, scelta frettolosa e casuale delle soluzioni, eccessiva esuberanza e irritabilità, ricerca più o meno volontaria di situazioni che contengono fattori di rischio e minaccia per la propria incolumità, cattiva gestione degli attrezzi di lavoro i quali possono essere deteriorati, perduti o dimenticati.

 

In sintesi, il bambino con deficit attentivo e disordine iperattivo deve essere aiutato ad acquietarsi prima di decidere di agire, di modo che il frutto della sua azione sia più congruente con un processo accurato di selezione delle sole informazioni rilevanti da utilizzare e investire nel problem-solving. Questo aspetto è decisivo nella programmazione di aiuto, ed è la ragione per la quale diventa d’obbligo investire nelle risorse per la formazione docente ed anche genitoriale, affinchè tali comportamenti vengano interpretati correttamente e non confusi e sovrapposti ad altre tipologie espressive, attribuendo connotazioni cliniche ingenue ed incongruenti nonché avanzando deduzioni fallaci sulle motivazioni e le intenzioni del bambino in riguardo al suo comportamento. Questo avrebbe peraltro un pernicioso effetto domino, dal momento in cui si scelgono i percorsi strategici dell’intervento didattico ed educativo. Serve pertanto riferirsi con metodo e con rigore alle più aggiornate ricerche e descrizioni inerenti alla sindrome di cui in oggetto, per non confondere, per esempio, una disabilità intellettiva con un deficit attentivo o di memoria di lavoro, in quanto ciò farebbe proseguire una programmazione didattica su teorie ed ipotesi sfalsate, con una infelice ricaduta sullo studente che presenta invece dei precisi domini di criticità di cui non è consapevole.

 

L’importanza delle autoistruzioni verbali

 

Ritornando sull’importanza dell’insegnare la gestione ed il controllo dell’impulsività, un principio che si presenta come particolarmente adatto a questo aspetto vulnerabile nei bambini con DDAI, richiama la necessità di condurre il bambino alla progressiva conquista di abilità mediante le quali egli impara in autonomia crescente a monitorare se stesso sia in termini procedurali metacognitivi che comportamentali. Egli, cioè, se opportunamente sostenuto in questo percorso, acquisisce competenze di problem-solving riducendo la sua tendenza naturale ad anticipare risposte premature e inaccurate, e quindi introietta un modello di lavoro fondato sull’analisi e sull’elaborazione scrupolosa dei dati in possesso, onde pervenire alla soluzione che conclude con successo un compito.

 

Un metodo che ingloba entrambe le istanze cognizione e comportamento può essere indicato in un processo di riflessione verbalizzata. Ovvero, attraverso questo stratagemma, il bambino è invitato a darsi del tempo prima di “sparare le risposte a caso”, e quindi a concedersi il beneficio di “pensare ad alta voce”, ovvero riportando verbalmente le sequenze e la descrizione algoritmica che impiega passo per passo nella ricerca solutoria di un problema. Questa tecnica lo facilita nel contenere i tempi propulsivi dovuti all’intemperanza nel “gettare la prima risposta che gli salta in mente”, giacchè verbalizzare equivale a rallentare il processo dell’elaborazione dei dati, e quindi ad avvantaggiarsene in termini di accuratezza, ricchezza e visione sistemica delle informazioni in possesso. L’esito di una tale procedura può far finalmente sperare lo studente con questo tipo di difficoltà a conseguire risultati finalmente gratificanti, che lo incoraggiano nel proseguo degli studi e della personale carriera formativa.

 

Ciò che viene sostenuto da più parti, per costruire un approccio che si presenti come accessibile ed accattivante per lo studente che cominci a farne esperienza, tale percorso guidato dovrà preferibilmente cominciare con inviti stimolanti che sostengano la motivazione e la tenuta attentiva, spostando dunque la soglia di faticabilità in avanti, il tutto atto a favorire il mantenimento della concentrazione e l’interesse nel bambino, come requisiti indispensabili per generare l’accettazione dell’esperienza.

 

Diventa dunque della massima importanza anche la modalità interpersonale tramite cui il docente o l’educatore si propongono al bambino: con una combinazione fra predisposizione personale e tecniche efficaci di comunicazione essi si prodigano nel coinvolgere il piccolo studente affidandosi alla loro capacità di essere accomodanti, comprensivi, giocosi e seri al tempo stesso, flessibili e autorevoli, empatici e ricettivi. L’atteggiamento è fondamentale per auspicare nella riuscita del percorso e nel raggiungimento di tutti gli obiettivi delineati, dal momento che nessun metodo di per sé può garantire il buon esito di un itinerario educativo, se l’investimento sulla qualità delle relazioni interpersonali non è stimato quanto invece è necessario ed essenziale. Ciò rappresenta anche la ragione per la quale il contenimento e l’elaborazione di sentimenti quali rabbia, scoraggiamento e frustrazione possono essere ascoltati, condivisi ed accolti anche in contesti di gruppo, in cui tali temi possono diventare l’oggetto discorsivo di in circle-time, ed essere al contempo fronteggiati individualmente per mezzo di  tecniche di controllo del comportamento per rinforzi, quali ad esempio una segnatura a punti con un “monte-monete” concordato che conduce a premi e diritti conquistati in forza di comportamenti socialmente desiderati.

 

Questi accorgimenti dovrebbero predisporre il bambino a reiterare l’esperienza di apprendimento, ad accoglierla con favore e ad attuarla in modalità coinvolgente, partecipante, intenzionale ed attiva.

 

Tale punto è fondamentale in quanto l’insuccesso scolastico restituisce all’alunno un’immagine invalidante di sé, la quale finisce per sottostimare le sue potenzialità e cadere nella trappola percettiva del fenomeno dell’impotenza appresa, che reitera il rifiuto di imparare e la paura di mettersi alla prova.

 

Nel merito della procedura concreta, è necessario stabilire un percorso a blocchi stadiali che cominci con l’insegnare al bambino come si pratica in vivo una modalità efficace di problem-solving e fronteggiamento di una consegna che richiede ricerca di soluzioni ed elaborazioni personali.

 

Dobbiamo partire dal considerare che il soggetto a cui ci rivolgiamo non dispone di appropriate strategie di studio e che di certo la modalità che andremo ad insegnargli non gli è di norma famigliare, dal momento che il suo stile di apprendimento risulta piuttosto inefficace.

 

Il primo step coinciderà dunque con l’illustrare con chiara evidenza al bambino come ci si approccia ad un problema, mostrandogli punto per punto quali domande ed istruzioni si possono formulare e sviluppare per accrescere opzioni e ipotesi di lavoro. “Ecco, io procedo così…”, comincerà l’educatore, facendo appello alla tecnica del modellamento, mediante cui descrive momento per momento l’itinerario completo della sua opera di problem-solving, arricchendola di un linguaggio scientifico ma non per questo affrancato da contenuti emozionali (es: “Il titolo mi chiede di interessarmi alla motoristica navale… ma bene! L’anno venturo dovrei giusto iscrivermi  ad un corso di pilota per rimorchiatori, ciò potrebbe proprio servirmi, dunque… verifico ora da quali diverse fonti potrei attingere queste informazioni…”).

IL bambino viene dunque condotto ad osservare un modello competente da imitare e da cui ispirarsi. Questo metodo è utile in quanto tende a mettere in aperta evidenza ogni singolo processo incaricato di reperire soluzioni e percorsi di ricerca, consegnandolo in modalità pratica e verbalmente descritta. L’obiettivo conclusivo da raggiungere resta nell’incitare il bambino a maturare un crescente livello di autonomia che gli permetta di accomodare il modello nella sua personale cassetta degli attrezzi.

 

Quindi, dopo un primo step di verbalizzazione aperta e ad alta voce, in cui si presterà cura anche al fattore paraverbale voice quality (tono, intensità, volume), che dovrà essere regolato per comunicare umanità e non meccanicità, la sequenza prosegue ripetendo nel tempo la medesima tecnica ma illustrandola in modalità verbale via via più silente, fino a quando è possibile osservare soltanto la risultante “azione”, intuendo come questa sia l’effetto del pensiero interno. È la verbalizzazione interna che si traduce in azione, proprio come nella nota teoria di Vygotskij sullo sviluppo del linguaggio infantile e nel suo rapporto coi processi cognitivi.

 

Quando si potrà osservare che lo studente soggetto a tale tecnica personalizzata, ne farà abitualmente uso e peraltro con un sufficiente margine di efficacia (obiettivo realistico da considerare con il livello di difficoltà e incompatibilità della sindrome con questo tipo di procedura altamente sofisticata), allora si potrà convenire al riconoscimento di una avvenuta automatizzazione del metodo. Significa cioè che le istruzioni dapprima esplicite e trasferite dall’adulto competente al giovane, si sono trasformate in regole implicite che lo studente è ora in grado di usare e gestire da sé, auto-facilitandosi i percorsi dell’apprendimento. Per correttezza scientifica, e per non generare facili illusioni, specie quando si lavora dentro tali particolari aree di atipicità e di aspetti deficitari e problemici, l’acquisizione definitiva del metodo è da considerarsi consolidata soltanto se a distanza di un tempo esteso (in genere da 6 mesi ad un anno) è possibile osservare ancora l’uso disinvolto e funzionale di tale tecnica da parte di chi l’ha appresa. In sintesi, soltanto gli studi di follow-up potranno accertare se sono avvenuti il mantenimento e la generalizzazione della tecnica acquisita, e quindi se realmente questa si è integrata fra le risorse strumentali dello studente a cui è stata insegnata.

 

Verificata la presenza di un netto miglioramento in termini di procedure e risultati affini agli obiettivi prescelti, le capacità che dovrebbero essere riscontrate nel bambino sono le seguenti:

 

. Stabilità umorale: in riferimento a un accresciuto benessere interiore, come condizione nella quale si è competenti nel connettere e sperimentare il legame esistente fra equilibrio nella dimensione emozionale e prestazione didattica, ambito nel quale la prima genera importanti premesse per favorire la seconda.

 

. Lettura comunicazione non-verbale: ovvero comprendere e decodificare correttamente i segnali cinestesico-corporei, mimico-facciali e paraverbali emessi dagli interlocutori, col fine di regolare i processi comunicativi rendendoli più costruttivi e soddisfacente sotto l’aspetto della qualità relazionale. Questo aspetto è fondamentale per immettere il soggetto dentro contesti di gruppo in cui promuove relazioni rispettose, solidali e di reciproca accettazione.

 

. Autoregolazione: è decisamente il cuore della problematicità critica che configura il tema di cui in oggetto. Tale qualità è inoltre coinvolta in almeno 3 ambiti: processi cognitivi, efficienza didattica e strutturazione di comportamenti adeguati; tutti da considerare all’interno di una dinamica interconnessa e circolare. La prima componente citata include requisiti che fanno capo a capacità riflessive, metacognitive, esecutivo-funzionali e di conservazione attentiva. IL secondo aspetto richiama i diretti risultati legati alla qualità della performance scolastica, ed il terzo è connesso allo sviluppo di risposte adattive funzionali alle sollecitazioni ambientali soprattutto in termini di dinamiche interpersonali.

Sulla base di ciò che il bambino ha imparato, dovrebbero osservarsi comportamenti congiunti alla capacità di fermarsi prima di agire e pensare prima di emettere una risposta qualsiasi, posticipare l’ebbrezza di ricevere un premio o una gratificazione, quindi tollerare ed estendere tempi di attesa più lunghi e gestire meglio le frustrazioni, sia perché si è ampliato il repertorio di risposte resilienti e proattive, sia perché si sente più sicuro avendo un’immagine di sé che suggerisce maggiore autostima e una potenziata autoefficacia.

 

. Consapevolezza e automonitoraggio del proprio livello e qualità attentiva: cioè rendersi conto quando la propria concentrazione rischia di estinguersi, in quale contesto e per via di quale esposizione a particolari circostanze ed eventi stimolo. Si aggiunge a questo raffinato grado di controllo un repertorio strategico-funzionale a cui ricorrere per poter reindirizzare la propria attenzione al compito verso cui si è impegnati.

 

Esempi di percorsi di autoistruzione

 

L’alunno che riceve l’affiancamento personalizzato è indotto ad effettuare un percorso sequenziale ed articolato, ordinato secondo singoli passi di una procedura che aiuta il bambino ad acquisire l’abitudine di farsi domande di controllo, di verifica, di ricerca e di approfondimento.

 

Nello specifico, i passetti da compiere potrebbero essere i seguenti:

 

“Ho compreso la consegna?” Potrebbe essere la prima domanda utile da rivolgere a se stessi dal momento in cui si ricevono enunciati, richieste ed istruzioni per poter procedere all’elaborazione o alla soluzione di un dato compito. Molto spesso, errori procedurali e situazioni di blocco sono dovuti al fatto di non aver compreso correttamente la consegna. E’ diffusa purtroppo la convinzione errata che chi non comprende la spiegazione alla prima volta debba avere un qualche problema di origine intellettiva, e questo espone chi richiede chiarimenti ad essere percepito come un soggetto a cui devono essere ripetute le cose. Però questo in realtà è un comportamento responsabile, perché si tratta di procedere alla verifica e al controllo delle informazioni ricevute. La consegna deve essere compresa chiaramente dallo studente, prima che questi si avventuri nella performance richiesta.

 

“Posseggo i necessari requisiti, materiali, conoscenze e competenze per fronteggiare il compito richiesto?” Soltanto se soddisfatto il punto primo, lo studente si trova ora nella situazione di esplorare le risorse di cui dispone per poter procedere con sufficiente sicurezza nel suo percorso di problem-solving. Egli deve mostrare a se stesso di sapersi leggere realisticamente in termini di autoefficacia, ed al tempo stesso di infondersi anche stima, fiducia e desiderio di esplorarsi e sperimentare, sapendo che potrà gestire l’errore e che nel caso potrà ricorrere ad ulteriori espedienti per l’utilizzo costruttivo dello stesso.

 

“Procedo!” Si tratta giunti a questo punto di applicare la procedura conosciuta, consci di essere padroni delle necessarie competenze strategiche atte a reperire soluzioni.

 

“E’ il percorso adatto? I risultati sono congruenti? Posseggo alternative opzionali?” Lo studente si misurerà in itinere con la richiesta datagli dal compito, avendo cura di comparare il percorso che sta svolgendo secondo parametri di efficienza e di faticabilità. Questi feedback gli restituiranno il senso e la direzione del suo percorso e delle sue scelte strategiche. Potrà dunque constatare come sta svolgendo il compito, se sta giungendo alla soluzione o se sta elaborando informazioni secondo una modalità ordinata, ricca e rigorosa. Nel caso in cui si imbatta fra le prime avvisaglie di difficoltà, egli potrà anche attivare possibili idee e soluzioni alternative, stimolando il pensiero laterale e divergente.

 

“Ora controllo e monitoro il processo”: ogni nuovo tentativo solutorio viene sottoposto ad una minuziosa analisi per confrontarne i risultati temporanei e parziali con le aspettative richieste dal compito. Si tratta di una valutazione itinerante che impegna lungo tutto il tragitto dell’apprendimento.

 

“E’ possibile scomporre questa unità complessa in sotto-strutture e micro-obiettivi?” Lo studente si facilita il percorso articolando la struttura problemica in sotto-unità (strategia task analysis), rendendosi i contenuti più accessibili e manipolabili.

 

“Devo ricordarmi di applicare la logica sequenziale”. Lo studente conserva il paradigma causale durante tutto il percorso dell’apprendimento e della messa alla prova delle sue procedure solutorie. Egli è cioè consapevole del fatto che ogni scelta adottata implica una relativa conseguenza, secondo lo schema Se→Allora.

 

“Ricerco a ritroso il motivo dell’errore che ho commesso”. Nel caso in cui lo studente produca errore e fallisca il compito, potrà sincerarsi sulla ragione per cui non ha svolto correttamente la prova, conservando un atteggiamento pragmatico che gli consente di ricontrollare il percorso compiuto, alla ricerca del fattore originario che ha determinato l’insuccesso, prendendo comunque le distanze da un senso di disfatta e di biasimo verso se stesso, sviluppando piuttosto il desiderio di rimettersi in gioco e di fare meglio la prossima volta. Naturalmente affinchè sia favorita questa condizione, l’insegnante e la scuola dovranno ammettere questa opportunità nei confronti del giovane. Solo questa condizione , infatti, potrà agevolare nell’alunno un adeguato locus of control, ovvero un processo attributivo realistico in merito alla ricerca della responsabilità inerente al successo o all’insuccesso di una propria prestazione.

 

Durante ciascuna fase di lavoro, anche quando il bambino sarà passato nella modalità di autoistruzione implicita silente, ovvero quando oramai è in grado di orientarsi in autonomia mediante l’uso di domande e affermazioni strategiche, egli potrà sempre disporre di promemoria come prompting visivo sempre alla sua portata. Pertanto, nel suo banco potrà esserci una sorta di scheda di lavoro che mostra i passi da compiere:

 

a) Rilassati e mettiti tranquillo (fa un bel respiro e rileggi la consegna. Domande da rivolgersi: “Ho prestato attenzione alla consegna? Ho capito cosa mi è richiesto di fare?”);

b) Pensa a come procedere sulla base di ciò che sai fare e che conosci;

c) Monitora e verifica la qualità del tuo lavoro. Domande da rivolgersi: “Sono abbastanza concentrato su quello che sto facendo? Sto applicando una strategia efficace? Sto pervenendo alla soluzione? Sto raggiungendo progressi? Sono avviato verso una composizione testuale ordinata? Potrà meritare di ricevere una valutazione positiva?”);

d) Premiati e gratifica il tuo impegno e il tuo operato.

 

Questo ultimo aspetto è molto importante perché il bambino si autosolleciti verso il fine agognato, anche in vista di potersi concedere qualcosa che lo rende contento e soddisfatto: a volte la gioia di poter comunicare anche alla sua famiglia di aver finalmente conseguito un risultato scolastico positivo. Raccogliere riconoscimenti valorizzanti è difatti un’esperienza che potrebbe rivelarsi non comune nella vita dei bambini con DDAI, e questo è un aspetto centrale di cui tenere conto se si vuole svolgere un’opera di aiuto valida ed efficace.

 

In virtù di questa auto-guida efficace e responsabile, i bambini imparano a formularsi domande pertinenti e utili all’impostazione attraverso cui ci si approccia ad un compito, si incoraggiano perché posso contare su metodi concreti che constano di procedure applicabili, sono costretti a sistematizzare teorie, conoscenze ed ipotesi, ridimensionando l’impulso nell’avanzare verso la soluzione in modo goffo, improvvisato e fallace, ed inoltre prendono confidenza con la necessità di auto-valutarsi, prevedendo l’efficienza del risultato e sapendola associare a fattori realistici e non più dettati da comode credenze e inesatti processi attributivi. In pratica, a questi nuovi efficaci modus operandi sul piano didattico, si vanno affiancandosi e sviluppandosi essenziali competenze relative all’area socio-educativa e della responsabilità personale.

 

Un buon programma tendente a potenziare gli elementi di cui discussi sopra, coniuga in effetti entrambi gli aspetti didattico ed educativo. IL successo scolastico, d’altra parte, migliorando nel soggetto la percezione di sé e riducendo il bisogno di agire comportamenti disfunzionali, spezza quel loop deleterio secondo il quale una maggiore esperienza di frustrazione nell’ambito del rendimento scolastico amplia l’espressione e il repertorio di comportamenti problema, e gli effetti di questi si ripercuotono ancora sui primi, alimentandoli a sua volta, in quanto l’ambiente scolastico, organizzando risposte di respingimento e rifiuto verso comportamenti sgraditi o antisociali, solleciterà ancora una volta in un circolo vizioso il malessere interiore che ricondurrà all’agito problemico e così via.

 

Occorre infatti tenere conto che l’intervento programmato dovrà agire sui due livelli congiunti di cui già indicati in precedenza.

 

Autoistruzioni verbali e socio-cognizione

 

Anche sul piano dell’educazione finalizzata a migliorare i pattern sociali per avviare rapporti funzionali, costruttivi e duraturi, può avvalersi del medesimo principio del modeling attuato dal metodo delle autoistruzioni  verbali. D’altra parte, quel che si cerca è proprio l’applicazione efficace di un modello integrato, che soddisfi insieme alle istanze cognitive anche quelle sociali ed affettivo-emozionali.  forse, il percorso che viene espletato nel suo mandato completo dovrebbe essere chiamato training socio-affettivo-cognitivo, poiché si avvale di un paradigma che cerca di occuparsi in modo globale e complessivo della totalità dei bisogni espressi da un individuo.

 

In linea con i passaggi indicati secondo il metodo delle autoistruzioni verbali, anche in questo caso possono essere create ad hoc delle circostanze simulate che possono indurre lo studente a risolvere situazioni di natura socio-relazionale, oppure ispirarsi direttamente da reali contingenze messe a disposizione dalla quotidianità della vita (sia scolastica che extrascolastica).

 

Si procede generando una situazione problemica tipo, e si invita lo studente con deficit strumentali e con difficoltà di previsione efficace sulla scelta d’azione appropriata, ad inventare e immaginare una più allargata possibile varietà di opzioni e di alternative per poter riscuotere almeno un po’ di successo, di approvazione e di buona popolarità presso i compagni di scuola. Egli può essere immesso dentro una situazione drammatizzata o di role-play, ed imparare a gestire in un contesto protetto una serie di stimolazioni che lo espongono alla difficoltà dovuta per esempio a non sapere come fare per partecipare ai giochi di gruppo, farsi accettare, farsi invitare, ricevere aiuti e per riflesso prendere l’iniziativa per poter emettere comportamenti altrettanto connotati da una buona attitudine e impegno e prosociale.

 

Egli può provare a rispondere a domande del tipo “Come posso fare per entrare nel gruppo?”; “Come potrei condividere le attività?”; “Come devo/posso reagire verso chi mi procura un danno involontario e di lieve entità?”; “Come devo/posso reagire a provocazioni e prepotenze?”;“Come faccio a gestire la frustrazione di un’attesa o un rifiuto da parte di un compagno?”; “Come si chiedono le cose in prestito e in quali casi posso prestare anche le mie?”;“Come riesco ad entrare a far parte di un gruppo che organizza regolarmente riunioni, appuntamenti, eventi a carattere aggregativo e sociale?”; Come reagisco agli scherni e alle provocazioni?”; “Come sostenere il peso di una delusione e di una promessa mancata?”; “Come chiedere aiuto a chi ne sa più di me e come approcciarsi al più competente (o popolare)senza per questo dovermi sentire inferiore?”; “Come accettare una sconfitta ed agire con fair-play e sportività?”; “Come avanzare le mie idee ed accettare che possano non essere comprese o prese in considerazione?”

 

A prevalere è decisamente la dimensione del fare, dell’agire concreto, che rimane comunque saldamente agganciata alle capacità di lettura emozionale di sé e dell’altro, specie nella reciprocità fra gli stessi interlocutori.

 

Si tratta anche in quest’area di riportare l’intensità di risposte impulsive, fuorvianti, univoche e irrealistiche, a livelli accettabili secondo cui il bambino può imparare a ridurre e gestire una migliore funzionalità delle sue azioni verso l’ambiente sociale, ricevendone un feedback valutativo che può finalmente gratificarlo e collocarlo in una situazione favorevole dalla quale ne scaturisce e ne verifica da sé la solidità di alleanze amicali basate sulla fiducia e il rispetto. I medesimi valori li riporta e li vivifica in un orizzonte più “formale”, che prevede l’instaurazione di rapporti altrettanto sani con altre figure adulte nell’ambito sia scolastico che extrascolastico.

 

E’ importante infatti estendere il programma in più contesti di vita del soggetto, affinchè egli possa generalizzare le risposte e sperimentarsi in più situazioni, migliorando la sua visione ed ampliando la rappresentazione degli eventi.

 

Esistono fortunatamente numerosi suggerimenti operativi sul percorso dell’alfabetizzazione emotiva, dimensione che completa il percorso nel tentativo di rendere il soggetto capace di riconoscere il valore, la funzione, l’espressione e le sfumature della propria esperienza emozionale, imparando a gestirla con favore per forgiarne uno strumento vantaggioso e privilegiato in grado di promuovere interazioni sane ed equilibrate.

 

L’impegno di qualunque percorso articolato in funzione della sindrome di cui in oggetto, continua a rivolgersi verso un mandato molto preciso e per certi versi ambizioso (ma non per questo improbabile), e che consiste nell’insegnare anche ad un soggetto con caratteristiche innate e naturali di neuroatipicità, di gestire almeno parzialmente il flusso stimolatorio che spinge all’espressione di comportamenti iperattivi ed impulsivi, e promuovere strutture comportamentali più idonee e obiettivamente vantaggiose per se stessi e per gli altri.

 

Tradotta in termini neurologici, e perdonando il linguaggio e l’estrema semplificazione, si tratterebbe di trasformare un “amigdaliano” in un “frontaliano”, ovvero in un soggetto che non si fa fuorviare esclusivamente dagli allarmi istantanei e reattivi regolati dall’amigdala, e che impara anche a scegliere, riflettere, analizzare, sperimentare, verificare e ricavare conclusioni e deduzioni, secondo quelle attitudini e predisposizioni che abitano nella regione pre-frontale del cervello deputata all’attivazione e al controllo delle funzioni esecutive.

 

Tutto ciò deve essere condotto con il massimo impegno sul piano della responsabilità professionale che deve farci propendere ad esigere una formazione adeguata, aggiungendovi anche una necessaria dose di realismo, che ci aiuta a procedere sì con ottimismo e con la certezza di una certa affidabilità sul piano dell’equipaggiamento strumentale, ed al tempo stesso a non farci intrappolare da ingenui e fuorvianti entusiasmi, in quanto, come riportato spesso nella letteratura scientifica sul tema, i miglioramenti ottenuti risultano comunque limitati, specie se associati a quadri di severità e comorbilità molteplice che può aumentare il livello di resistenza al trattamento.

 

Agire in team, dentro un clima realmente aperto e collaborativo, può infatti espandere l’efficacia del programma di aiuto, in quanto il paradigma integrato si rivela quello che ottiene comunque i maggiori successi ed i migliori risultati, anche in quadri sintomatologici complessi come quelli della sindrome da deficit di attenzione e iperattività.

 

Un approccio multifocale, che mette a confronto linguaggi ed esperienze fra i vari attori coinvolti nel programma di caring educativo, diventa di fatto quello più auspicabile per rivolgere l’aiuto più valido ed efficace per chi è stato certificato con la sindrome da deficit di attenzione e iperattività.

 

Abbiamo dunque il dovere di provare a restituire a tali soggetti una vita il più possibile affrancata da situazioni di rischio, una vita da cui anche loro possano ricavare spunti ed opportunità per condurla nella maniera più feconda e più serena possibile.

 

 

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socio-educativo, Educatore professionale, Formatore analitico-transazionale)

 

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