NATIVI DIGITALI E ANALFABETISMO FUNZIONALE. Un’analisi pedagogica del fenomeno

Pubblicato il da Nuccio Salis

Ci risiamo. I dati delle ricerche OCSE confermano il crescente analfabetismo funzionale delle nuove generazioni. D’altra parte ciò è anche riscontrabile dalle esperienze dirette di docenti e di vari contesti in cui i giovanissimi sono chiamati ad interpretare i contenuti della conoscenza con cui vengono a contatto.

Sarebbe fin troppo facile avanzare spietate analisi che rischiano però di essere sommarie, imprecise, faziose e poco pertinenti rispetto alla complessità con cui si dovrebbe valutare questo fenomeno, sulla cui oggettività comunque pare non si debbano avere dubbi.

A mio parere possiamo anzitutto chiederci il motivo per cui un lettore dovrebbe avere difficoltà nella comprensione dei testi. E di ragioni potrebbero essercene di varie ed anche combinate fra loro dentro un mosaico articolato che meriterebbe un’osservazione accurata ed approfondita.

Impegnandomi ad entrare nel merito della questione, con lo sforzo di uno sguardo sospeso e non giudicante, da pedagogista mi verrebbe da pensare ai requisiti necessari ad uno studente per poter elaborare correttamente un testo, estrapolandone il senso, ricavandone l’eventuale significato implicito, riconoscendone le intenzioni dell’autore ed attivando una propria ricostruzione critica del contenuto. Tutti questi passaggi definiscono i parametri basilari per una lettura attenta ed appropriata, fatti salvi tutti quei processi “meccanici” necessari ad una normolettura in termini di velocità, accuratezza, scansione visuo-spaziale del testo, nei cui casi di deficit o disfunzionalità si provvede con una didattica speciale.

Dunque, ciascun studente che si appresta alla lettura di un testo dovrà prima di tutto essere equipaggiato dal punto di vista dei mezzi e delle strategie necessari a decodificare anzitutto un testo in una modalità appropriata.

Bisogna poi, a mio avviso, considerare una serie di criteri che possono facilitare la comprensione di un testo e che dovranno essere ritenuti rilevanti ai fini della prestazione medesima che si intende strutturare.

Provo ad elencare almeno 4 essenziali aspetti che ritengo fondamentali per guidare i processi di una normolettura:

 

Motivazione. Dobbiamo ammetterlo: la maggior parte delle letture a cui i giovani studenti sono esposti  non costituiscono per gli stessi un motivo di interesse, in quanto percepiti come lontani e incompatibili con la realtà contemporanea vissuta. La scuola persevera nell’imporre letture classiche non accompagnate molto spesso da elementi storiografici dai quali sviluppare collegamenti e analogie con il contesto odierno, e pertanto tutto ciò viene percepito come obsoleto, anacronistico e antistorico. Gli intellettuali più radicali e i difensori della cultura classica non saranno d’accordo con queste riflessioni. L’invito che rivolgo è di prendere atto che i significati di valore attribuiti alla storia non possono essere trasmessi senza una modalità che tenga conto dei nuovi linguaggi e dei nuovi bisogni alla luce di un mondo che nel frattempo ha ridimensionato numerosi elementi e modificato profondamente i connotati legati agli stili di vita e alla priorità dei valori e delle aspirazioni dei giovanissimi ma non solo.

Pertanto, convincersi di poter imporre conoscenze astratte dalle contingenze storico-culturali della contemporaneità, significa assumersi la responsabilità del fallimento comunicativo e didattico.

Le modalità tradizionali dell’approccio alla lettura, in linea a quanto dapprima sostenuto, sono altrettanto cambiate, e il libro non costituisce più lo strumento esclusivo di trasmissione di conoscenze specialistiche. Strappato all’esclusività editoriale di pochi eletti, grazie all’avvento delle tecnologie multimediali, esso ha perso nel tempo quell’autorevolezza privilegiata di cui ha goduto nel passato, e con questo aspetto bisognerà pur farci i conti. Trovo inutile ribattere a difesa del libro con quella stucchevole e nostalgica amarezza che però non tiene conto (a torto o ragione) delle profonde trasformazioni a cui siamo soggetti nei processi e nelle opzioni di fruizione ed accesso alla conoscenza.

Qui non si tratta di difendere le proprie posizioni personali, di dividersi in classicisti romantici che si masturbano odorando la fragranza delle pagine di un libro, opposti alla fazione dei “digitalisti” avanzati e sempre aperti alle innovazioni. Non sarà la partigianeria ad aiutarci a comprendere la presenza di questo pur preoccupante fenomeno, il quale non deve essere sottostimato e nemmeno guardato con eccesso di allarmismo.

Il problema è nel tentativo di individuare i sistemi più accattivanti per poter trasmettere la conoscenza, fra i quali il libro potrà ancora occupare il proprio posto, a patto che la sua presenza non sia né ingombrante né dominante ma integrata dentro un piano ed una procedura di multimodalità che tanto dovrebbe ispirare una didattica fluida e flessibile, e non per questo meno efficace di quella antica.

 

Attenzione. Altro requisito indispensabile a sostenere un buon processamento ai fini della comprensione di un testo, riguarda la funzionalità della capacità attentiva. Le prestazioni attentive sono fondamentali sia per un sufficiente fissaggio dell’oggetto di interesse che per la gestione dello stesso dentro una cornice di stimoli in cui è necessario confrontarlo con altri elementi che configurano una totalità di problem-solving. In genere, il rendimento attentivo può essere facilitato evitando compiti che prevedano una giustapposizione di processi e predisponendo una procedura di lavoro sequenziata e schematizzata per micro-obiettivi.

Bisogna prendere atto che le capacità attentive si sono notevolmente ridotte sia nei parametri quantitativi di tenuta temporale che di conseguenza sotto l’aspetto qualitativo. Ricerche recenti attestano che la generale soglia attentiva dell’umano si è ridotta fino ad essere inferiore a quella del pesce rosso. In una condizione siffatta, magari aggravata da una scarsa attitudine all’apprendimento, rinforzata da un contesto non motivante, si assottiglia anche il punto di raggiungimento della faticabilità, col risultato di stancarsi prima del previsto, di distrarsi prima del previsto, di rifiutare l’esperienza stessa dell’apprendimento.

Si può anche ascrivere parte della spiegazione di tale fenomeno alla modalità mediante la quale si utilizzano i dispositivi digitali e l’associata spropositata quantità di dati e di informazioni da cui veniamo raggiunti.

Il flusso di contenuti multimediali da cui veniamo bombardati risulta, oltre che notevole, spesso anche confuso e frammentato, riportando notizie su uno stesso tema in modo incongruente o fuorviante. È decisamente il caso di affermare che sapere troppo non equivale a conoscere. Se si sanno tante cose, ma sbagliate o imprecise, si rimane vittime di una distorsione e di una manipolazione che introduce false credenze.

Pertanto, dei training sull’attenzione sono necessari per preservare e prendersi cura di un meccanismo che è spesso oggetto di dibattiti e controverse discussioni anche a carattere clinico, per tutte le conseguenze che si realizzano sul piano dell’organizzazione didattica.

Insomma, occorre avere più attenzione… per l’attenzione.

 

Linguaggi. Occorre tenere presente che le modalità di approccio alla conoscenza, sia sul versante strumentale che processuale sono radicalmente cambiate nel tempo, e che le nuove generazioni si ritrovano in un mondo completamente avulso e rivisitato da nuovi linguaggi. Il che equivale a dire, nel medesimo tempo, in una realtà che genera nuovi concetti e nuove cornici di significazione.

Forse, prima di valutare soltanto come scarse le prestazioni legate alla comprensione di un testo, bisognerà anche verificare se e quanto i contenuti prestati alla performance richiesta siano adattati ad una modalità di fruizione della conoscenza profondamente trasformata. Se non si considera ciò, il rischio è di richiedere prestazioni scolastiche legate a parametri obsoleti e di confrontarle con una media quantitativa di un passato in cui si procedeva diversamente verso la soluzione di un problema. Si rischia, cioè, di ricavare dati apparentemente scientifici e rigorosi, e che invece non possono essere avvalorati proprio perché mancanti di questi accorgimenti senza i quali si addurrebbero dati parziali e approssimativi, scivolando verso interpretazioni a carattere ideologico.

In sintesi: se un giovane non comprende i contenuti di qualcosa che gli presentiamo, dovremmo mettere in discussione le nostre modalità di presentazione, la cornice contestuale che stiamo proponendo, i mezzi che stiamo adoperando, la compatibilità dei linguaggi generazionali, il GAP di aspettative, intenzioni, necessità e obiettivi che fanno dell’esperienza di apprendimento un importante frame storico e biografico della propria identità soggettiva e culturale.

Bisognerebbe cioè applicare in vivo (e non solo a parole) quella forma didattica costruttiva bruneriana proposta da diverso tempo oramai da varie figure e personalità importanti nell’ambito della pedagogia, le cui considerazioni e suggerimenti rimangono puntualmente disattesi da una scuola che sostanzialmente non cambia mai e rimane identica a se stessa, pretendendo però, paradossalmente, al tempo stesso, che siano i ragazzi ad adattare la novità dei linguaggi all’anacronismo didattico e formativo di chi governa l’istruzione. Insomma, forse si dovrebbe seriamente riflettere su come si faccia esattamente il contrario di ciò che potrebbe essere un utile e costruttivo lavoro sull’organizzazione dell’apprendimento scolare significativo.

 

 

Indizi testuali. Come presentiamo i testi? E soprattutto, i testi, i manuali, i libri attuali possono essere riconfigurati per facilitare un percorso di lettura che offra precise indicazioni su come debba procedere una performance lettoria? Un certo vizio oramai noto, nella didattica della scuola tradizionale, è di trascurare aspetti fondamentali dell’età evolutiva che invece hanno ricevuto preziosa sottolineatura durante gli anni precedenti. Si pensi per esempio a quanto nella scuola dell’infanzia vi sia una programmazione particolarmente attenta all’esperienza sensoriale e cinestetica di un bambino, e quanto di botto questi aspetti vengano tranciati con l’ingresso ad una scuola primaria impostata prevalentemente sul cognitivismo e l’addestramento della mente. Come diceva Carl Rogers, si entra nell’istruzione dell’obbligo senza un corpo. Si fa addestramento “a pezzi”. Si perde di vista il tanto decantato (solo in teoria) approccio olistico o globale.

In linea col medesimo paradigma si sposa anche l’editoria e la stesura dei testi scolastici, che non sono più proposti come oggetti “magici” dai quali vengono fuori figure in 3d, ma pagine scritte con un font di cui peraltro non è previsto l’insegnamento in scrittura, e spesso mancanti di accattivanti indizi testuali che corredino il percorso di lettura indicando con esattezza titoli, sottotitoli, capitoli, paragrafi e sottoparagrafi, in una veste grafica che faccia riposare gli occhi, che consenta una motilità oculare che tenga conto degli attuali parametri attentivi.

 

Fino ad oggi, invece, sembra che l’unica soluzione prospettata per fronteggiare questo problema sia l’alleggerimento dei contenuti. Non si può pensare di agire soltanto sul versante “quantitativo”. Se insegno meno, non solo non risolvo le problematiche di elaborazione dei contenuti, ma avrò anche ottenuto l’impoverimento concettuale e soprattutto avrò formato un orientamento diretto  al minimalismo e ad un capitale ridotto di efficienza di cui accontentarsi.

Avrò cioè abituato lo studente a fare poco, oltre che male, con la conseguenza, constatabile infatti dai dati della ricerca, che si vanno via via formando studenti sempre meno preparati e competenti ma, soprattutto, dato più preoccupante, studenti sempre meno curiosi, critici e propensi ad accogliere con favore l’esperienza dell’apprendimento. Condizione, questa, favorevole ed auspicabile soltanto da chi desidera avere una moltitudine di personalità facili da incantare e da spingere verso il soddisfacimento di bisogni impropri e non autentici.

 

 

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socioeducativo, Formatore analitico-transazionale)

 

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti: