L’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI NELLA SOCIETA’ COMPLESSA. Lavoro, cittadinanza, autonomia del Sé.

Pubblicato il da Nuccio Salis

Qual è lo stato attuale della educazione degli adulti? Intanto, perché si possa concepire il soggetto adulto come potenziale fruitore di processi educativi è stato necessario modificare il paradigma tradizionale che vedeva nell’educazione un fatto da rivolgere esclusivamente alla platea dei bambini e dei ragazzi. Soltanto l’appartenenza anagrafica all’età evolutiva veniva considerata come il sufficiente requisito indispensabile per poter far parte delle fasce di utenti a cui indirizzare l’interesse educativo e la relativa programmazione ivi connessa.

 

È più che probabile che ancora, nell’immaginario comune, si intenda l’attività educativa come un’esperienza destinata ad un solo pubblico che rientra all’interno di precisi parametri caratterizzanti l’età evolutiva, quindi come qualcosa da destinare ad esclusivo uso, fruizione e vantaggio di coloro che sono considerati peraltro come portatori di poca esperienza, deficitari nelle abilità richieste per la loro stessa inclusione, non pienamente maturi ed incompleti nella totalità dei loro requisiti, caratteristiche e competenze. Si tratta in pratica di una visione menomata, di una considerazione al ribasso che tende a vedere nell’educando soltanto ciò che è mancante ed incompiuto. Difficilmente, dentro questa ottica, si sviluppa un quadro di riferimento che tende a valorizzare le risorse e i punti di forza dell’educando, in quanto questo è visto soltanto nel differenziale fra lo stato attuale dei suoi apprendimenti confrontato ai parametri standard comuni verso cui lo si intende sospingere, per raggiungere i diffusi e consolidati canoni di conoscenza comunemente accettati.

 

Il deficit che viene percepito su tale individuo non è limitato a misurare l’insufficienza sui contenuti del sapere e della conoscenza, ma anche su quelle forme di abilità da investire per essere adattati al mondo sociale ed alle sue richieste, così come è stato costruito e modellato dalla storia e giustificato da tutte le arbitrarie convenzioni mediante cui una civiltà delinea e legittima la propria identità collettiva.

 

Dentro questi termini, l’educazione è pensata e progettata come una risorsa da portare a compimento soltanto verso quei soggetti che debbono essere condotti verso l’integrazione sociale, arricchiti cioè di strumenti pratici e di un equipaggiamento che li guidi verso la comprensione della realtà così come viene configurata dal sentire comune. All’interno di questa cornice concettuale, l’educazione diviene un’opera atta ad implementare le credenze e le convinzioni di cui è indottrinata una certa matrice culturale, e quindi si occupa principalmente di improntare l’educando ad immagine e somiglianza del soggetto medio così come viene prescritto e reso riconoscibile dal percepire massificato.

 

Tali riflessioni e congiunture hanno cominciato nel tempo a rilevare la loro obsolescenza e il loro carattere di antistoricità. La complessità del vivere quotidiano ci ha obbligati ad effettuare una rigorosa lettura di queste prospettive che oggi sarebbero miseramente (e tristemente) anacronistiche, in modo da elaborare nuovi orizzonti ideali ed anche rinnovati risvolti operativi delle pratiche pedagogiche, le quali vogliono proporsi non più passivamente quanto in modalità apertamente costruttiva, dentro un vivaio di dinamiche sociali caratterizzate da condizioni storiche profondamente mutate e verso le quali occorrono paradigmi di interpretazione più approfonditi ed efficaci.

 

Lo scenario odierno è protagonista di profonde trasformazioni sempre più incisive, rapide e repentine, che rifanno la facciata all’assetto e alle contingenze storico-culturali del volto sociale e dell’identità comunitaria, in termini di valori, stili di vita, e di tutti quelli che sono gli elementi di un vivere insieme e di un confrontarsi tra soggetti che condividono spazi geografici comuni. Tenendo anche presente che gli stessi concetti spaziali in termini fisici e territoriali sono attualmente da considerarsi come qualcosa di più sfumato, specie in virtù dell’impatto di tecnologie sofisticate che permettono l’accesso a  modelli e parametri di comunicazione che oltrepassano o ridimensionano i concetti stessi di confine, di distanza, di diversità dell’area geografica.

 

Dentro questa rivisitata densità, assumono dominanza  il relativismo e l’arbitrarietà spesso anche delle norme e dei concetti, e la fa da padrone una sempre più diffusa chiusura autoreferenziale del singolo che si affranca da una comunità che chiede maggiore partecipazione e crescente senso di coesione. Si tratta di un curioso paradosso nonché di una delle tante dissonanze cognitive e discrasie mentali e comportamentali dell’umano contemporaneo, il quale da una parte, come singolo contribuisce a disgregare gli apparati e i meccanismi del vivere sociale, d’altra parte però, avvertendone l’insopportabile svilimento, preme insieme alla collettività perché gli venga restituita la dimensione della solidarietà e dell’appartenenza. Isolamento, egocentrismo ed opportunismo mortificano esattamente ciò che gli individui stessi tendono poi a restaurare, dopo esserne stati pienamente responsabili.

 

Una grammatica del comportamento che rivela il grave stato di squilibrio e disorientamento dentro cui è incappata la civiltà, impreparata e inconsapevole perfino del suo irreparabile collasso.

 

Una riflessione, questa, atta a problematizzare una questione sempre più sentita, e non solo dagli specialisti e dagli addetti ai lavori, ma anche dagli stessi membri della stessa comunità che si preoccupa di tutti quei processi di disgregazione e di dissoluzione dei rapporti sociali che minano a sfaldare i prerequisiti fondanti di un vivere sociale realisticamente armonico ed accettabile. Occorrono quindi riposte pratiche, oltre che naturalmente valide cornici di interpretazione e significazione dei fenomeni socio educativi in atto. Sarebbe cioè necessario costruire ed offrire strumenti, descrizioni e indicazioni in merito alle possibili vie percorribili attraverso le quali, oltre che meditare appunto possibili soluzioni, impegnarsi poi a svilupparle dentro un percorso esperienziale che miri al ricongiungimento ed al recupero del senso di appartenenza  dell’individuo in una dimensione di natura collettiva. Dentro tale dimensione devono trovare posto e quindi co-abitare sia le istanze di assertiva emancipazione del singolo che le esigenze legate a ciò che è di pubblico interesse e condiviso patrimonio collettivo (materiale, culturale e spirituale). Il riconoscimento dell’Io si misura dunque dentro una relazione connaturata al contatto rispecchiante dell’altro da sé. Tale bisogno sembra attualmente tanto più avvertito proprio in proporzione alla diffusa difficoltà sempre più marcata di rivedersi nell’altro, di congiungere l’Io con il Tu, di riconoscere la singolarità sia degli elementi che la peculiarità delle dinamiche interpersonali. Questa impostazione apre percorsi di ricerca e di pratiche della gestione comunicativa che coinvolgono e rimettono in discussione i nostri processi interpretativi mediante cui rappresentiamo noi stessi, gli altri e la realtà circostante. Questa posizione viene evidenziata dalle ricadute che si verificano sia in termini di pensiero che sociali e nel vissuto sul piano affettivo-emotivo. In pratica, fenomeni come teoria della mente ed empatia rimangono espressioni che vengono a connotarsi sempre più come essenziali nelle condotte delle dinamiche interpersonali, in quanto la loro progressiva perdita e riduzione le impreziosisce, proprio perché si riesce a pervenire ed a misurare l’autentico valore delle cose e delle proprie condizioni, solo quando queste vengono a mancare. Di conseguenza ci si appella ad una rinomata filosofia dell’educazione che rimetta in auge questi concetti e che non li disperda più dentro vuote assemblee accademiche dove tutti si incensano e si sviolinano a vicenda, limitandosi ad affermare quanto siano necessarie queste condizioni. Le ovvietà di una retorica stucchevole del politicamente corretto è un paravento per chi poi non ha di che proporre formule realizzabili e vincenti sotto il profilo pragmatico ed esperibile.  

 

Certi dell’importanza di un procedimento dialettico, come condizione necessaria per l’analisi dei fatti, la stessa rimane comunque condizione non sufficiente per poter fronteggiare in modo decisamente costruttivo le problematiche aperte della pedagogia, ed anche in modo che le proprie scelte operative e percorsi opzionali vadano realmente ad incidere sulle dinamiche del vissuto quotidiano. Pertanto, a questo punto, l’educazione degli adulti ritrova una sua giustificazione. Aggiungerei che ne reperisce una ulteriore soprattutto dal momento in cui l’educazione degli adulti viene legittimata primariamente da esigenze di natura produttiva legata al mondo delle professioni, e dunque ai bisogni di un’acquisizione di saperi e di competenze specialistiche, non da ridursi meramente a contenuti e ad apprendimenti/aggiornamenti su nuove abilità tecniche da investire dentro il proprio ruolo, seppur arricchito dall’uso di aggiunti strumenti tecnologici rinchiusi nell’ambito del saper fare.

 

Col tempo, infatti, questo approccio, che da una parte si rivela adatto a rispondere ad esigenze piuttosto circoscritte e particolari del sistema economico-finanziario globalizzato, che richiede di essere all’altezza della competizione fondata sul profitto materiale, ha cominciato a non essere più avvertito come sufficiente nel soddisfacimento della totale richiesta formativa soprattutto da parte di chi prende parte al processo della trasformazione di sé. Da qualche tempo è possibile osservarne le conseguenze di tali lacune e manchevolezze, a ridosso dello scenario sociale e del suo elevato livello di conflittualità dentro il sistema capitalista basato sulla legge del più forte che sopraffa i soggetti più svantaggiati.

 

In pratica, i modelli dell’educazione degli adulti si sono tradizionalmente blindati sulla trasmissione unilaterale di conoscenze e competenze che inquadrano l’adulto esclusivamente all’interno della sua cornice incastonata dentro il ruolo di soggetto lavoratore, mancando così l’occasione di sviluppare un approccio olistico ed attento alla totalità dei bisogni dell’individuo. Naturalmente questa impostazione non è dovuta ad una distrazione o ad una insufficienza di paradigmi adatti a costruire un efficiente itinerario formativo nell’esperienza di apprendimento degli adulti; piuttosto ciò è dovuto ad una scelta intenzionale che consiste nel limitare il ruolo e l’espressività del singolo alle sole richieste dell’ingranaggio produttivo del quale si fa parte, e che se ne guarda bene dal rischio di sollecitare il pensiero autonomo e la coscienza critica,in quanto elementi perturbativi verso un sistema di controllo sociale che tende soltanto a conservare i suoi propri interessi.

 

È invece essenziale sviluppare anche nell’adulto quel senso di compartecipazione comunitaria, identità collettiva, accentuata volontà cooperativa, capacità comunicativa, controllo e gestione efficace dei processi di negoziazione e di scambio secondo formule di reciproco appagamento di interessi e riduzione dei conflitti.

 

 

Formazione e sviluppo continuo: l’adulto come agente sociale in divenire

 

Una prospettiva di educazione allo sviluppo, a carattere permanente, e che coinvolge le personalità adulte, è chiamato ad abbracciare paradigmi di crescita che coinvolgono tutti gli aspetti dell’individuo: da quello prettamente tecnicistico che include competenze l’affinamento e l’aggiornamento di abilità e competenze da maturarsi nell’ambito di una professione, a quelle interiori come soggetto umano che riconosce e legge se stesso in termini esistenziali e di progresso intellettuale e spirituale. Ed anche in termini sociali nell’ambito della cittadinanza, ovvero in quell’area che rimanda allo status di soggetto politico e giuridico, e che offre alla pedagogia anche più tradizionale la ghiotta occasione di educare al senso di compartecipazione attiva atta a realizzare e ad offrire il proprio contributo costruttivo all’interno di una società che si impegna a conservare la sua coesione sociale, a rispettare le norme comuni condivise in modo trasversale, ad essere protagonista del rinnovamento storico e culturale, a valorizzare le sue risorse, a promuovere l’interesse pubblico e tutelare il bene comune.

 

Tale contributo al vero progresso è ciò che propriamente elegge allo status di cittadino qualunque membro di una comunità. La naturale conseguenza di questo comportamento realizzerebbe, per una sorta di matematica sociale, una spontanea alleanza e reciprocità fra il singolo e la collettività. Nel dare, e nel rimettersi agli altri, prendendosene cura, significa al tempo stesso ricevere anche con proporzioni maggiori rispetto a quanto si da. IL singolo si preoccupa della società che al tempo stesso, caratterizzata dalla moltitudine di soggetti che agiscono allo stesso modo, mette ciascuno nelle condizioni di poter contare sul caring sociale e sull’attenzione condivisa e vicendevole fra singolo e comunità. Ciò porta a riconoscere se stessi anche nell’altro, promuovendo l’interesse comune e consolidando questa visione vantaggiosa per tutti. È una sana forma di raffinato egoismo che definisce un buon consolidamento di rapporti costruttivi e utili per ciascuno. Si profila infatti un compiuto senso del Noi, derivato dalla sommatoria Io+Tu, dove ciascuno rimane comunque se stesso, pur dedicandosi alle questioni del gruppo. Viene forgiata una sicura e valida rete di rapporti all’interno di una maglia che definisce ogni crocevia dei legami e delle relazioni che producono la forza sinergica di una società in grado di provvedere ai propri bisogni. È la società stessa, che all’interno di questo paradigma diventa l’agenzia formativa per eccellenza, che consegna all’individuo chiavi di lettura e comportamenti appropriati nell’ambito della gestione dei processi di negoziazione e mediazione implicati nei processi della relazione interpersonale.

 

Questo nuovo orizzonte di valori, direttive ed obiettivi deve essere assunto e portato a pieno compimento laddove trova spazio una progettualità da applicarsi nella formazione e nella vita dei soggetti adulti. Le modalità, i tempi e il setting pedagogico-didattico che ne viene strutturato ed articolato vengono pensati in relazione a una scala di bisogni, esigenze, propositi e aspettative che si distinguono dalla categoria bambini. Ciò non toglie la possibilità (e nel contesto odierno l’obbligo) di dare piena continuità all’evento educativo e formativo, che non è legato solo all’istruzione, ma dovrà appunto essere anche concettualmente svincolato dalla comune percezione che vede l’atto educativo come necessariamente istituzionalizzato, riservato dentro i circuiti accademici e soprattutto prerogativa dedicato a soggetti in giovane età. In prima battuta sarà dunque importante rivoltare questa concezione, anche dimostrando nella pratica che l’atto educativo dovrà essere svincolato dal legame che lo vede mantenuto a doppia catena alla frequentazione scolastica od a piani e itinerari di apprendimento a carattere formale.

 

Si dovrà perciò divulgare questo nuovo intendimento e farne comprendere lo stato di urgenza, chiarendone senza equivoci  obiettivi, presupposti e principi.

 

La formazione a carattere riservatamente aziendale ha però omesso per vizio culturale questi importanti criteri e requisiti per lo sviluppo continuo della personalità adulta. Risultano tutti aspetti di cui storicamente si è evitato di interessarsi, anche per via della errata convinzione in merito ad una visione dell’adulto come soggetto oramai maturo, definito e compiuto. Tale filosofia ha eletto soltanto il bambino ed il giovane come soggetti a cui va dedicata la prerogativa degli interessi educativi. Tuttavia, l’indeterminatezza dell’identità di un adulto e le mutate condizioni, esigenze ed obiettivi di una società che si trasforma, ha rimesso in discussione l’orizzonte teorico ed operativo dentro cui si procede per occuparsi della formazione degli adulti.

 

Se si vuole impreziosire ed aumentare di livello la qualità del servizio formativo alla persona adulta, allora tali elementi non possono più essere lasciati all’improvvisazione e alla fatalità delle vicissitudini del quotidiano. Anche le determinanti soggettive e individuali, che costituiscono le contingenze essenziali ed i passaggi critici nell’esistenza dell’adulto, possono (o forse meglio debbono) ricevere degna considerazione da parte di una rinnovata e più completa modalità nell’impegnarsi sotto il profilo della formazione degli adulti. È necessario farsi carico di un insieme più complesso di fattori ed affrontare le sfide che esso implica, smettendo di evitare strategicamente di occuparsene se non anche di considerare certi elementi come fuorvianti ed importuni all’interno dell’opera di formazione.

Dovranno perciò costituire elementi di studio anche gli interessi dell’adulto nell’ambito privatistico e quella parte di eventuale impegno pubblico che egli investe come cittadino che fa parte di una collettività.

 

Dentro un contesto in cui vengono sentite come prioritarie alcune emergenze legate alle vicende sociali, si pensi ad esempio al crescente vuoto affettivo e disagio relazionale sperimentati nei rapporti interpersonali, diventa necessario ricorrere ad un modello di formazione degli adulti che estende obiettivi e propositi non limitandoli più alla visione del soggetto (trainee) come pedissequo riproduttore dei valori e della mission aziendale, o come anello di un sistema che lo ingloba dentro uno standard che può addirittura alienarlo, ma al contrario lo autorizza e lo incoraggia ad affrancarsi dall’eseguire rigidamente soltanto le direttive uniformi, per poter fomentare azioni che introducano inedite proposte di problem-solving e di lettura dei punti critici in seno a un’azienda.

 

La crescita anche in termini di profitto ha sempre bisogno del contributo esteso di qualunque intelligenza critica. Si è impiegato del tempo per cessare di avere paura di questa condizione, e quindi di considerarla come una irrinunciabile risorsa e punto di forza dei processi decisionali e strategici di una equipe dirigente e di importanti scelte responsabili.

 

Da una parte, questa prospettiva è stata anche forzatamente rappresentata (e quindi utilizzata) seguendo una certa impostazione a carattere capitalistico, ovvero preparando l’individuo alla competizione, al primeggiare e rivaleggiare all’interno del suo stesso ambiente di lavoro, per generare quei necessari attriti e giochi di potere funzionali al vertice ed alla sua finalità di controllo e massimizzazione dei profitti ad ogni costo.

 

Quindi non è sufficiente nemmeno disporre di modelli avanzati ed efficaci di formazione degli adulti, se poi la meta perseguita rimane l’attività di sofisticata manipolazione condotta dai dirigenti dei piani più alti dell’organigramma. Manca pertanto l’elemento più qualificante dell’intero processo: l’etica.

Esiste infatti un tipo di gestione verticistica che si sposa con un dirigismo strutturale che serve la causa del sistema finanziario che tutti noi conosciamo.

 

Occorrono dunque contesti in cui l’educazione degli adulti diriga il suo attento sguardo anche ai processi del lavoro interiore e della valorizzazione dei processi comunicativi, che però a questo punto è messa di traverso ad un concetto utilitarismo di competizione, da cui devono per forza di cose emergere un vincitore ed uno sconfitto. Va da sé che esistono anche diverse imprese che da qualche tempo a questa parte hanno imparato a riconoscere il valore aggiunto della comunicazione efficace, del saper confrontarsi operativamente in modo costruttivo, purchè ancora si limiti ai confini interni del gruppo di lavoro, e purchè amplifichi e consolidi il senso di appartenenza e di legame alla propria squadra aziendale.

 

La formazione degli adulti pensata invece dentro  un’ottica propriamente pedagogica non può soltanto assecondare i bisogni circoscritti di una ditta che legittimamente tutela se stessa, poiché ha bisogno di accogliere la totalità dell’individuo come essere in divenire collocato dentro il suo orizzonte storico e sociale, e quindi affiancarlo non come fosse una monade centrata solo su se stessa, ma un nucleo composto anche di esperienze e relazioni da far emergere ed investire in modo funzionale nel lavoro e nella vita di ciascun individuo. Dovrà inoltre riuscire a legittimare il suo spazio nell’ambito delle scienze della formazione, nel tentativo soprattutto di far estendere la funzione legata meramente al potenziamento di un ruolo lavorativo alla presa in carico di una dimensione sociopolitica del lavoratore o anche dell’adulto inoccupato. Si assumerà perciò l’impegno di indicare metodi, modelli, strategie, strumenti  e luoghi dentro i quali svolgere e realizzare i propri eventi.

 

In pratica l’andragogia dovrà avere lo stesso pieno diritto di essere validata e riconosciuta dentro il dibattito sociale, almeno quanto ne gode anche nella percezione comune la pedagogia. D’altra parte, questa ultima nasce e si sviluppa promuovendo in origine il dibattito filosofico sulla costituzione naturale e spirituale dell’entità uomo. Nelle riflessioni e discussioni legate alle origini socratiche, le forme e le organizzazioni del vivere sociale coinvolgono giovani ed adulti, ed escludono generalmente discettazioni sui modelli  educativi da applicare sui bambini.

 

In quella storica sede, le argomentazioni e le finalità proposte dalla pedagogia (antica) si rivolgono principalmente a modelli politici ed istituzionali da fondare per regolare l’esistenza collettiva e definire i ruoli di ciascuno. Si potrebbe cioè affermare che la pedagogia già fin dalle sue origini è già educazione del cittadino. Essa non contempla una scissione fra la formazione del Sé individuale e del Sé sociale. Costituisce cioè il modellamento della persona  che si indirizza e si compie da sé secondo criteri autoguidati e di principi di autonomia.

 

Forse la prospettiva dello sviluppo e dell’apprendimento permanente che caratterizza la pedagogia contemporanea, altro non è che il recupero di un’antica e seppur valida impostazione che dopotutto guarda a ciascun oggetto di studio con un’ottica olistica e globale. E così l’individuo umano è considerato come un’identità mutevole in divenire, soggetta all’attraversamento di tappe e di fasi che ne costituiscono critici e significativi passaggi. Comprendere la portata di tali nodi esistenziali è la sfida da accogliere, per quanto consegnata ad una visione orizzontale della linea di tempo. Tale percorso è infatti riconoscibile e suddivisibile in sequenze e punti di svolta, verso le quali la pedagogia intende rivolgere il suo interesse, senza mai lasciare solo l’individuo dentro il suo cammino esistenziale. L’approccio odierno conduce infatti a considerare l’apprendimento stesso come un’esperienza continuamente aperta ed interminabile. Nessuno smette di imparare perché magari consegue un titolo di studio o perché si colloca al di fuori dei circuiti scolastici. La vita stessa pone di fronte ad un rinnovato ed aggiornato quadro di bisogni, dentro il quale sono necessarie risposte e adattamenti che richiedono flessibilità, resilienza, divergenza cognitiva, creatività. Tutte queste risorse e requisiti del Sé sono preziose variabili che ci aiutano a sostare dentro una condizione accettabile all’interno della quale è possibile riprogrammare l’omeostasi e riconfigurare i propri equilibri. Anche un adulto, difatti, esattamente come un bambino, è connotato da tali bisogni e caratteristiche, ed anzi è ancora più prestato ad uno studio di tipo multiprospettico, in quanto caratterizzato dalla complessità di obiettivi e stati psicoemotivi anche di natura avanzata e secondaria.

 

Quindi, così come esiste un attivismo pedagogico indirizzato al bambino, si sviluppa l’interesse di cogliere e mettere al centro dell’opera educativa rivolta all’adulto la priorità degli interessi, delle attitudini e dei punti di forza che già sono presenti nello stesso soggetto. Diventa quindi importante coinvolgere l’adulto come educando dentro un percorso di attività che appagano e soddisfano i bisogni più autentici, profondi e inespressi.

 

Altro punto essenziale della pedagogia per gli adulti consiste nell’occuparsi dello sviluppo di pratiche e di abilità da realizzare dentro un contesto appropriato sia sotto l’aspetto tecnico-logistico che su quello esistenziale. Si procede pertanto identificando l’ordine dei bisogni e delle priorità dell’adulto, con la necessità di indicare anche i luoghi e le precise pratiche che aiutino l’adulto affinchè egli padroneggi gli strumenti necessari col fine di costruire utili e appaganti attività dalle quali ricavare soddisfacimento e senso di autorealizzazione.

 

Devono infatti essere soddisfatti i bisogni non soltanto preformati che ci accomunano tutti come individui appartenenti ad una stessa specie, quindi si tratta anche di saper intercettare, accogliere, interpretare e rendere manifeste le esigenze sia naturali che derivate di un Sé che procede in forza della sua costituzione originaria combinata con i bisogni culturali condivisi dentro un tessuto collettivo.

 

È importante che la piattaforma dei bisogni comuni venga in ciascun caso fatta emergere considerando le peculiarità del singolo. Pertanto, il diffuso bisogno di libertà, autonomia ed emancipazione tipica della personalità adulta matura, seguirà traiettorie che si coniugano con gli aspetti originali dell’individuo e della sua personale narrazione.

 

Il Sé composto e complesso dell’adulto richiede questo modello, sostanziato dai presupposti di cui in oggetto.

 

Il tutto dovrà essere indirizzato, così come nel bambino che si prepara ad integrarsi nella vita comunitaria, ad una formazione del cittadino che non può essere considerata esaudita con la cessazione formale dell’istruzione scolastica. Sarebbe una considerazione riduzionista che condurrebbe la pedagogia al disimpegno e al disinvestimento delle sue possibilità e della sua sostanziale mission epistemologica. Peraltro si scadrebbe anche nella inefficienza dei risultati raggiunti, sottostimando i criteri standard soddisfacenti che un adulto potrebbe potenzialmente raggiungere nell’affiancamento prossimale di un percorso di apprendimento che ne cura sia gli aspetti più strettamente formali che quelli legati alla crescita di un ruolo partecipativo e collaborativo dentro le istanze di un gruppo o di una comunità territoriale. In sintesi, si parla della necessità di formare l’adulto su due fronti complementari: la persona e il cittadino. Per quanto anche questi obiettivi non raggiungano ancora appieno il soddisfacimento e la lucida visione dell’umano come entità spirituale.

 

Ristrettamente ad obiettivi tradizionali e comprensibili, è possibile far accettare almeno l’importanza di un perpetuo insegnamento dell’educazione civica, proveniente da una ispirazione a carattere comunitario inclusa nella formazione di ciascun discente. Il punto è verificare, anche attraverso il target degli adulti di cui ci si occupa, quanto realmente il pubblico dei “grandi” abbia realmente introiettato nei comportamenti le norme congiunte e condivise dalla società di cui gli stessi fanno parte. L’impegno consiste nel poter misurare quanto i valori discussi e le idee maturate e diffuse nella vita sociale degli adulti siano per davvero applicate e vissute in vivo dentro un contesto di condivisione e di scambio.

 

Quanto l’adulto implementa le sue teorie dell’altro una volta inserito nella concreta condizione di presenza singola all’interno di una collettività organizzata? Sarebbe un ottimo spunto di ricerca dal quale valutare la qualità del cammino formativo in toto di ogni adulto verso cui si indirizza la propria opera educativa. Dalla mia personale esperienza (anche confrontata con quella di molti altri colleghi) emerge difatti una profonda discrasia fra ciò che gli adulti professano sul piano dialettico e ciò che fattivamente perseguono sul piano di concreta interazione nelle relazioni. Processi di comunicazione non efficace, posizioni egocentriche, preconcette e contaminazioni psicoemotive del passato rappresentano le determinanti in netta dominanza che portano gli adulti a lavorare in gruppo in modo confuso, gravemente inefficiente e irrimediabilmente conflittuale in modo allergico e non costruttivo.

Educazione degli adulti: implicazioni sociali e politiche                                                

 

Vi sono allora questioni urgenti che meritano tutto l’interesse e anche l’intervento progettuale su tutti quegli aspetti che ciascuno di noi (anche non addetto ai lavori) può ravvisare in una società dove crescono l’analfabetismo funzionale, l’autoreferenzialità, l’isolamento, l’individualismo, le separazioni  e tutte le  svariate forme di ripiegamento su se stessi e di rinuncia al prendersi cura dell’altro da sé. Crescono anche i livelli di conflittualità, di corruzione, rassegnazione, frattura dell’interesse fra la cosa pubblica e la cosa privata. Si constata l’aumento della distanza fra la classe dirigente che ha responsabilità amministrativa di un territorio e la popolazione coi suoi bisogni più autentici e profondi, la quale è spesso vessata ed espropriata di beni, disconosciuta della propria identità storica in forza di interessi corporativi dell’establishment legato alle logiche capitaliste ed anche a ulteriori giochi di potere con matrici più profonde. Le lotte che abbracciano anche piani di lettura e di significazione esoterica oltre che essoterica sono però quasi la stragrande totalità delle volte ignorati dallo studioso medio contemporaneo inconsapevolmente allineato a un sistema che riesce a tenere i più in un irreparabile stato letargico.

 

Ciò è detto soltanto per ricordare che nessun evento sociale e politico può essere correttamente interpretato se non si effettua una ricognizione storica arricchita anche da elementi di gnosi e di modelli di lettura che non si limitano agli schemi di un intellettualismo che seppur seduttivo e meritorio non è capace di agganciare la verticalità di una visione più ampia e completa. Personalmente non posso aderire ad una pedagogia incapace di oltrepassare con lo sguardo ciò che è apparente. Per quanto di parvenza logica, una siffatta struttura dialettica e pratica si limiterebbe (peraltro senza averne consapevolezza) di disquisire sull’illusione e sulla caducità della realtà percepita.

 

Per riprendere quanto affermo su un piano di più facile intelligibilità, va detto che la pedagogia rivolta agli adulti ha la responsabilità precisa di problematizzare, attraverso un approccio dialogico, quei fenomeni ed eventi sociali che anzitutto accadono in un territorio di cui realisticamente ci si può occupare, adducendo una serie di considerazioni che possono coinvolgere la rete sociale di un determinato luogo fisico e geografico. È possibile condurre questo principio (dandogli poi la necessaria declinazione pragmatica) tenendo conto del legame di tutte le contingenze che definiscono l’identità di un territorio, associate nella struttura di un tessuto collettivo le cui esigenze sono sempre più pre-programmate e determinate da un processo storico che assume oramai i caratteri della globalizzazione. Ciò espone anche le piccole comunità e realtà locali sempre più dipendenti da decisioni, direttive, prescrizioni che provengono da vertici di cui se ne riconduce la matrice a logiche politiche ed a manovre strategiche di natura economico-finanziaria che sono estranee ai bisogni di una collettività che già gode di un volto storico piuttosto definito. Tali scelte verticistiche esulano anche dagli interessi del singolo. È importante quindi che il problema generale vada allegato al problema locale, che questa corrispondenza sia ricondotta secondo i meccanismi di una circolarità interdipendente fra le parti, senza che vi sia (come invece dentro la nostra cornice storica) un esagerato sbilanciamento di potere fra la compagine accentratrice e la moltitudine soggetta a decisioni che esulano dal campo delle vere necessità umane ed ambientali.

 

Questa linea di ragionamento diventa importante quando l’impostazione argomentativa, valoriale e anche pratica di una educazione degli adulti rilancia ed esplicita l’importanza di un equilibrio nel potere di reciproca influenza fra il singolo e la collettività. Nessuna delle parti cioè deve soccombere alle richieste pressanti della controparte e al tempo stesso si possono infatti sollecitare azioni contrassegnate dall’importanza del contributo attivo e della co-partecipazione.

 

Anche le comunità più piccole non dovranno essere oppresse dalle decisioni delle comunità vicine più potenti e con un maggior peso politico nell’ambito delle influenze politiche che queste ultime possono esercitare sullo scenario territoriale e culturale. Se non si è sensibili a questo tema, il rischio che si produce riguarderà l’esercitazione di un potere maggiore verso una minoranza di cui vengono sottostimate o ignorate le peculiari prerogative. Tutto ciò esula da finalità solidaristiche, di equità e di pace sociale che da sempre la pedagogia persegue nella sua vocazione e dottrina sociale.

 

Sembra chiaro come l’insegnamento di modelli efficaci nell’ambito micro-relazionale debba rispecchiare i processi dell’area macro-relazionale legata al rapporto fra Stati e comunità più allargate.

L’educazione degli adulti oggi rimanda frequentemente a quell’impianto di base di genere coercitivo mediante cui una casta di privilegiati sta procedendo (quasi con inesorabile silenzio) ad impadronirsi della storia e del destino di miliardi di esseri umani e delle leggi che governano e reggono lo stesso ecosistema, disponendone secondo logiche criminali di gretto utilitarismo e di cinico profitto, a disprezzo della vita e delle diversità antropologiche. Pertanto, l’aspetto da far emergere con immediata urgenza riguarderà il rendersi conto dell’imprescindibile legame che connette l’umano a certe leggi della natura, e che il collasso di questa si porta via anche l’essere umano.

 

Una signoria di poteri oscuri che omologa il peso, la forma e il colore delle mele o ne modifica il genoma originario, non può che avere parallelamente la finalità di fabbricare umani tutti uguali, in una serie matricolata che esautori il concetto stesso di individualità, annullando la volontà e l’atto del pensiero libero.

 

Si può evincere come la pedagogia, anche nell’ambito dell’educazione degli adulti, sia allora uno strumento di lotta contro l’indifferenza, e al tempo stesso risorsa atta a costruire modelli e stili di vita più idonei al rispetto della vita e di tutte quelle condizioni che possono fare dell’esistenza un’esperienza degna di essere vissuta.

 

Diversamente, senza una seria e costante attenzione verso queste irrinunciabili tematiche, il singolo e le comunità non potranno che accettare loro malgrado il processo dello schiacciante uniformità ai disvalori contemplati dai cortigiani dell’establishment politico internazionale. La pedagogia non può sottrarsi di opporsi a questo seppur imponente rullo compressore che riduce l’uomo (per usare l’espressione di Marcuse) a una dimensione. Il dominio unilaterale del maggiore verso il minore è forse, d’altra parte, proprio il tema centrale di una pedagogia al servizio del progresso dell’individuo e della società, secondo coordinate valoriali che includono la dimensione della qualità della vita. Attualmente è invece ben visibile la resa degli operatori dell’educazione di fronte a una mastodontica ingegneria del consenso che sta sempre più assorbendo tutti dentro le sue ganasce, riducendoli al silenzio e alla più bieca e fideistica obbedienza.

 

Questo mortificante livellamento ad un modello unico, prosegue in pratica con buona pace oramai anche di molti specialisti dell’educazione, che non soltanto rifuggono dal prendere atto della gravità di tale processo storico, ma che addirittura si piegano passivamente di fronte allo stesso e ne sottoscrivono i patti. E così, anche con la silente complicità di una pedagogia rinunciataria, prosegue questo allineamento al “pensiero” unico, ad un solo ed accettabile stile di vita conformato alle spinte logoranti dell’ideologia consumista.

 

Sono dell’idea che una pedagogia degli adulti dovrà invece mettere al centro, in modo coraggioso (e forse anche a questo punto oltraggioso e impopolare)ogni questione legata a quei fattori e vicende della storia contemporanea sulle quali le strategie della propaganda mainstream riesce a ri-consegnare filtrata alla massa, perché questa si divida in sottoetichette e categorie partigiane funzionali al mantenimento dello status quo secondo la vecchia e sempre efficace formula del dividi et impera.

 

Invece di abituare ad entrare nel merito delle argomentazioni anche più scomode, si istruisce la massa facendola reagire allo stesso modo mediante il medesimo input: in pratica la si addestra a non occuparsi di questioni legate alle gestioni occulte del potere e ad irridere stoltamente agli argomenti sui quali è stata indottrinata solo ad indossare casacche e uniformi legate a forme di credo e aprioristiche convinzioni fra le più comode, per evitare contraccolpi alla propria inconsapevole identità di schiavo e di condizioni da sottomesso.

 

Dividere in tifoserie e opposte fazioni, in merito a un qualche argomento caldo che riguarda l’intera civiltà è un collaudato ed antico stratagemma che si rivela sempre di valida efficacia per mantenere i popoletti nell’ignoranza e continuare a conservare il potere e il controllo sociale.

 

Una pedagogia dell’adulto dovrà fornire strumenti che dimostrino la necessità di una funzionalità cognitiva matura, specie nell’ambito della produzione critica e dell’elaborazione di idee. A ciascuno è dato cioè di rafforzare e sviluppare quelle qualità di lettura critica ed approfondita che l’adulto dovrebbe peraltro già possedere; e ciò costituisce una notevole differenza nei confronti di una programmazione didattica volta al bambino come soggetto in cui tali requisiti sono da costruire ex novo e da slatentizzare a favore di un’esperienza che dovrà passare da parametri rudimentali di un apprendimento di base fino a fasi sempre più caratterizzate da crescita e progresso di sé.

 

L’esercizio del pensiero critico, la ricerca personale e la sua congiuntura vivificante con l’esperienza costituiranno l’orizzonte tangibile della prassi educativa anche all’indirizzo dell’adulto. È necessario tanto più con l’adulto, infatti, poter misurare quanto egli stia concretamente realizzando a seguito delle idee, dei propositi e dei valori che sostiene o che intende professare.

 

Questo ordine di concetti inquadra anche l’adulto dentro la funzionalità di un ruolo che assume i caratteri e le forme della buona cittadinanza. Quanto cioè, egli è pronto anche a dare e ad offrire, una volta immesso in una società che peraltro spinge piuttosto al conflitto e alla disgregazione? È una sfida tanto allettante quanto complessa, e che non appartiene solo alla pedagogia, in quanto poi si trasferisce nella dimensione dell’adultità vissuta e programmata nella singola vita di ciascun soggetto senziente e pensante.

 

È certamente accettato che la pedagogia dell’adulto debba aiutare lo stesso ad introdurlo in modo efficace nelle trame della storia collettiva, potendo appellarsi ai suoi particolari punti di forza ed a tutti i suoi strumenti che possono essere affinati secondo questa finalità di natura civica.

 

L’adulto perciò deve essere formato come un soggetto che non sia meramente un riproduttore del materiale culturale già diffuso in un dato contesto, ma come diceva Bruner egli dovrà essere sospinto a svolgere l’importante funzione di costruttore di senso e rinegoziatore di significati sociali. Egli, cioè, partecipando al vivere quotidiano, regolato anche da norme, prescrizioni e codici non scritti, si ritrova ad acquisire un ruolo non di comparsa ma di protagonista dentro le dinamiche di un convivenza comune che produce valenza storica e costrutti di rappresentazione sociale e culturale.

 

Perciò, il discorso delle egemonia e della dominanza socio-politica, che vede il più forte sopraffare il più debole, lo si può osservare tanto più quanto applicato ad una comunità svuotata di senso storico, e che ha cioè perduto il suo orizzonte culturale, che ha smarrito la sua dignità storica e che ha rinunciato a difendere il suo capitale e la sua eredità di valori, soggiacendo (spesso per interesse o per scelta obbligata dalla miseria materiale e spirituale) ad un potere soverchiante che la inganna, e che infatti le offre la ricettina preconfezionata per risolvere quei problemi che lo stesso finto salvatore ha in realtà generato. Questo è un percorso di manipolazione socio-politica condotto ripetutamente da coloro che scrivono la storia ufficiale. Se ne può dedurre che l’adulto va coscientizzato (per usare un’espressione cara alla pedagogia nella visione del Freire) per poter funzionare sia nella modalità orizzontale che verticale; intendendo con queste espressioni, in merito alla prima si tratta di allenare l’intelletto, la mente, la ragione, il logos strutturale, proiettati comunque dentro una finalità che prevede che l’adulto si manifesti agevolmente come membro partecipante di una collettività e di un gruppo anche più ristretto. Con il secondo termine si intende invece di sviluppare la capacità di risvegliare il Sé con tutta la sua capacità di trascendere perfino la natura dei suoi bisogni primigeni e naturali. Questa finalità è raggiungibile per chi sia dotato e voglia estrinsecare istanze di natura spirituale.

 

In sintesi, con la coscientizzazione orizzontale è possibile rispondere a utili logiche di addestramento maggiormente convenzionale, e per cui l’acquisizione di tecniche e abilità spendibili nell’area della propria professione. Nonché l’introiezione di un codice di comportamenti che costituiscono poi l’espressione di sé come elemento attivo che co-partecipa ai valori della civitas.

 

La coscientizzazione verticale richiama ad una formazione più sostanziale, dove oltre ai passaggi prima menzionati si manifesta l’Essenza stessa del singolo, che sa cogliersi come entità unica e irripetibile.

 

Ora, le domande da farsi potranno essere le seguenti: chi deve guidare questa pratiche? In quale contesto? Che caratteristiche deve avere l’educatore eletto a convogliare ed appagare tutte queste ipotesi circostanziali, trasformandole in un’esperienza che produca un apprendimento significativo?

Si può fare principalmente riferimento ad almeno due caratteristiche: la prima lo vede impegnato dentro una pratica ermeneutica, e quindi dentro la figura di uno specialista il cui profilo ha oramai preso confidenza con la ricerca assidua e l’interpretazione aperta dei risultati verificati e raggiunti, anche coinvolgendosi in prima persona. Egli cioè dovrà incarnarsi come testimone di come i processi della conoscenza siano denotati dall’avvincente scambio di contenuti ed informazioni atto ad impreziosire l’esperienza stessa dello studio e della ricerca. Egli è rappresentato di un approccio teso a sollecitare questa continua necessaria condizione, condotta secondo un indirizzo marcatamente interdisciplinare, critico e ricostruttivo, continuamente pronto a prevedere ed impiantare attivamente nuovi scenari sociali e paradigmi scientifici che sfidino l’obsolescenza di quelli più storicizzati e a volte più comodi all’establishment accademico.

 

 

Quale profilo dell’educatore degli adulti?

 

In vero, la posizione del pedagogista rivisitata dentro questi termini non si profila come facile ed agevole per lo stesso professionista dell’educazione. Egli dovrà pur tuttavia conservare quella necessaria distanza asimmetrica fra sé e il soggetto educando, la quale non deve essere equivocata alla pari di un rapporto di potere e di ingerenza della parte più forte verso il più debole, poiché è un criterio che definisce lo spirito di servizio e l’attività di caring diretta verso l’altro da sé. Pertanto, la divergenza di saperi, abilità e competenze genera l’autorevolezza di una leadership verso cui attribuire fiducia e capacità di guida da parte di un adulto che pone in condizioni di vantaggio il discente, fomentandone l’autonomia. Tale complementarietà include da parte dell’educatore la chiarezza del progetto che intende svolgere, sia in termini di obiettivi e contenuti organizzati per la consegna che in termini di processo esperienziale in toto.

 

Di conseguenza, all’interno di una didattica rivolta all’utenza adulta rimane ragionevole questo piano di allestimento e di principi di un setting dentro cui svolgere l’attività dedicata agli adulti. Resta infatti più che legittimo il principio base dell’asimmetria, in modo da validare un percorso funzionale ed efficace,  comunque condotto secondo tutti gli opportuni accorgimenti che tengano conto di una scala di bisogni e di un retaggio esperienziale già avanzati e consolidati.

 

I contenuti ed i vissuti dell’esperienza di apprendimento con gli adulti saranno vissuti e condivisi dentro un vivo cammino di ricerca-azione, in luogo di un notevole contributo dell’adulto come libero pensatore, agente e mediatore sociale che procede secondo un approccio critico e di una manifestazione di sé che userà come requisiti e strumenti principali per riqualificare la sua maturità e procedere nel suo itinerario.

 

 

Quale modello formativo nell’educazione degli adulti?

 

La domanda da porsi coinvolge la questione su quale modello formativo più idoneo può essere pensato ed implementato per favorire il raggiungimento delle mete educative e didattiche programmate. È necessario pensare ad un modello che tenga conto delle priorità del singolo avvicendate con le prospettive storiche del suo tessuto comunitario e quindi integrato in una società che sceglie, matura e sviluppa valori, identità, biografia del proprio divenire.

 

Nella società complessa nella quale ci troviamo è indispensabile saper rispondere coi fatti a questa doppia valenza, ovvero dell’adulto che da una parte richiede l’espansione del suo bagaglio di competenze e di saper fare, e in corrispondenza invoca il suo bisogno e il suo diritto di inclusività come membro di una comunità, che congiunge maggiormente la dimensione speciale del saper fare con quella del saper essere. Insomma ci troviamo di fronte alla necessità di formare la doppia (ma al tempo stessa inscindibile e integrata) identità di adulto lavoratore e adulto cittadino. Un modello affidabile e presentabile di formazione verso l’adulto dovrà coniugare questi aspetti e sollevare tali istanze qualora fossero disconosciute, dal momento che è necessario rivendicare i propri bisogni di arricchimento tecnico-strumentale da una parte e di co-appartenenza come soggetto attivo e partecipe alla vita comunitaria. È questo anche un importante paradigma per evitare il rischio di disinvestire sulla totalità dell’esperienza formativa , e quindi per non limitare l’educazione dell’adulto alla technè, sbagliando così nel considerarlo soggetto interiormente compiuto e che ha bisogno soltanto di apprendere procedure meramente tecniche e sequenziali. Sarebbe la mortificazione della pedagogia e dell’adulto come individuo creativo.

 

Per fortuna, le attuali contingenze di un procedere storico così rapido e tormentato non ci permette di restringere tali concetti o di fraintenderli dentro i confini di una comoda e banale semplificazione.

Vi sono fattori molteplici e complicati che si intrecciano e si sovrappongono, e che devono essere tenuti sotto la lente osservativa di chi si interessa dei fatti sociali.

 

Ad esempio, dentro un contesto complesso e frammentato come quello in cui risiediamo, attraversato da eventi spesso indecifrabili e denotato dalla co-presenza di elementi sempre più in contrasto fra di loro, il tema dell’interculturalità diventa uno dei nuclei centrali dell’approccio con cui condurre l’evento formativo di cui gli adulti ne sono i destinatari.   

 

Tale condizione la si ritrova stabilmente in tutti i luoghi ed i contesti che fanno praticamente parte della vita stessa di un adulto. Anche per tale ragione, ogni circostanza può essere investita come occasione di apprendimento e valorizzarne l’apparente accidentalità e spontaneità, con fini ulteriori per lo sviluppo globale di sé.                                                                                                                                                                                                                                   

Il modello formativo contemplato come risultante di queste riflessioni, dovrà anche porsi il problema sulla ridondante dicotomia fra globalismo e sovranismo, così presente nel dibattito contemporaneo e negli scenari internazionali. L’impegno consiste in tal caso nel sottrarsi da una posizione ideologica e piuttosto cercare di intravvedere quali pregi e limiti possono co-esistere sia nell’una che nell’altra posizione.

 

Il globalismo, per esempio, presenta caratteri di avversità nella sua impostazione radicale nel dare il primato alla tecnica, al meccanicismo, all’omologazione; produce svuotamento di identità peculiari e dei loro significati endemici. Impera attraverso le logiche di un mercato senz’anima, tendente a soddisfare il profitto a tutti i costi ed a far lievitare gli affari di una combriccola di faccendieri che in pratica tengono in pugno il mondo intero. Al tempo stesso sollecita aperture e visioni di scenari prima considerati irraggiungibili, investendo quasi esclusivamente sull’avanzamento e sulla fruizione di tecnologie per mezzo delle quali vengono ridotte distanze fisiche e geografiche.

 

Il sovranismo è maggiormente attento alla valorizzazione delle minoranze e delle culture locali, di cui tende anche a salvaguardarne le produzioni materiali e naturali come risorse da impiegare per un rinnovato riscatto sociale. Portato anch’esso all’eccesso può scivolare nel rischio dell’autoreferenzialità, della chiusura, del rifiuto preconcetto di ciò che è nuovo e della difesa ad oltranza di ritualità e tradizioni discutibili.

In conclusione, una didattica indirizzata all’utenza, e che sia adatta a rispondere a tutte queste complesse questioni, dovrà seguire il già affermato paradigma del sistema formativo integrato, forse l’unico in grado di bilanciare i rapporti di forza e di influenza fra agenzie formative formali ed informali, a promuovere la trasversalità dell’esperienza pedagogica e di valorizzare tutti quegli aspetti che sia nel singolo che nella società attendono da troppo tempo di essere finalmente accolti e valorizzati dentro una pratica educativa che superi la retorica e che contribuisca a produrre libertà e benessere.

 

 

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socioeducativo, Formatore analitico-transazionale)

 

 

 

 

                                                                                                                                                     

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