MOTIVAZIONE INTRINSECA E PENSIERO CREATIVO. Apprendimento significativo nella prospettiva life span long

Pubblicato il da Nuccio Salis

Nell’ambito delle teorie dell’apprendimento è noto il concetto di motivazione intrinseca, e così è altrettanto noto l’auspicio di sviluppare e sollecitare negli studenti questo tipo di propensione naturale ad imparare e ad acquisire i dati della conoscenza, nonché ad impiegare gli stessi nella pratica di tutti i giorni, ovvero di provare a sperimentare le informazioni possedute nella vita quotidiana, accompagnati da intenzione e da una certa carica entusiastica che guida l’esperienza dell’apprendere.

È questa fondamentalmente la condizione ideale che ciascun insegnante vorrebbe sviluppare ed osservare presso i propri studenti, dal momento che questa è la situazione attraverso la quale ciascuno può ben predisporsi all’esperienza di apprendimento. Ciò significherebbe anche riuscire a definire e delineare un contesto favorevole affinchè il processo dell’apprendimento possa avvenire in una modalità lineare, il più possibile fluida, condivisa e serenamente accettata da ciascuna delle parti e dei ruoli che si trovano a confrontarsi all’interno di tale percorso.

La motivazione intrinseca è dunque una spinta spontanea ad apprendere e che trascende i medesimi contenuti che possono suscitare una iniziale curiosità. Ovvero, il problema della motivazione intrinseca è che questa dovrebbe caratterizzare in maniera permanente ogni studente e  ciascun allievo che si avvicina all’esperienza dell’apprendimento (sia essa strutturata, semi-strutturata o spontanea), quindi al di là del livello della strutturazione e quindi anche oltre i contenuti previsti nella programmazione. La motivazione intrinseca è dunque, fondamentalmente, quell’elemento che coincide con la capacità di ciascuno di riuscire a cogliere la necessità e l’importanza di apprendere, legando tale concetto anche al piacere di apprendere. Questo aspetto è da tenere in debito conto perché si superi la discrasia fra il dovere di apprendere (legato allo svolgimento che richiede il ruolo dello studente) e il piacere di apprendere (congiunto invece al grado di soddisfacimento emotivo dell’esperienza).

Non tutti coloro che apprendono e che mostrano anche risultati legati all’efficienza e al buon rendimento raggiunti durante il loro percorso scolastico (ovvero coloro i quali hanno un itinerario scolastico soddisfacente e in linea con gli standard richiesti e quindi positivamente valutato) sono anche al tempo stesso  studenti intrinsecamente motivati. Non abbiamo la garanzia di un rapporto così stretto e diretto fra queste variabili. Non possiamo cioè essere certi che, pur di fronte ad un percorso “di successo”, tale cammino sia stato realizzato a causa di una spinta interiore che inclina al piacere di apprendere, oppure se risultati ed obiettivi sono stati raggiunti esclusivamente in forza di un principio di dovere o di convenienza. Tale dubbio e tale problematica costituiscono elementi legati soprattutto  al fatto che spesso non si dispone di adeguati mezzi per cogliere e verificare la presenza di autentica espressione e presenza di motivazione intrinseca. Di fatto può essere noto come molto spesso i contenuti destinati ad essere appresi non coincidono con le aree dei propri effettivi bisogni e sincere manifestazioni del Sé. Il fatto di non far aderire i dati della conoscenza con le sfere di interesse di ogni singolo studente, provoca a cascata una serie di effetti che sono relativi a tutti quelli aspetti  legati alla motivazione intrinseca in qualità di fattori interdipendente con la quale interagiscono: per esempio l’attenzione sostenuta, ovvero la capacità di orientare, fissare e mantenere per un ragionevole periodo di tempo il proprio focus di interesse; requisito attraverso il quale si crea una premessa ed una condizione necessaria all’apprendimento. Altro fattore può essere indicato nella faticabilità. È facilmente constatabile in varie circostanze che se si è costretti a seguire qualcosa di cui non si coglie il senso o non cattura il proprio interesse, la soglia di faticabilità si riduce ovvero viene raggiunta prima e di conseguenza ciò conduce al decadimento attentivo ed allo spostamento del relativo focus congiunto. In pratica, ci si stanca prima del previsto e al di sotto dei tempi medi personali di conservazione attentiva.  La situazione che si genera e si configura in relazione a tale evenienza sarà il generale disinteresse e rispettiva distrazione in merito a un argomento trattato, e quindi il sopraggiungere della noia e del rifiuto dell’esperienza di apprendimento.

Mi sento di aggiungere che per favorire una efficiente dose di motivazione intrinseca, non ci si deve sentire costretti ad assecondare sempre le richieste e le istanze rivendicate da una certa parte di studenti o di un gruppo-classe. Privilegiare la motivazione intrinseca dovrà comunque risultare una pratica pedagogica che non può coincidere con un cedimento o un lassismo che si limiti a concedere di fare ciò che piace. Oltre che poco edificante sotto il profilo educativo e didattico, ciò violerebbe il concetto stesso di motivazione intrinseca, perché questo criterio dovrebbe funzionare come un importante nodo strutturante la complessiva personalità di un soggetto che ha imparato ad “apprendere ad apprendere”, e che dunque ha di per sé un atteggiamento maturo e consapevole nella ricerca, nel reperimento e nel trattamento delle informazioni a cui sopraggiunge. Si tratta dunque, a questo punto, di formare un vero e proprio atteggiamento nel rapporto con la conoscenza, che sia finalizzato a costruire un Sé che si autodirige e si autodichiara con crescente consapevolezza e lucidità.

Bisogna dunque prendere in considerazione che non tutto quello che viene proposto a livello dei contenuti da trasmettere può sempre riscuotere il gradimento degli studenti. Anzi, forse la maggior parte delle volte, l’apprendimento nel contesto scolastico e formale non viene esattamente colto e vissuto come un’esperienza piacevole e gratificante.  D’altra parte, organizzare contenuti in parte già previsti e pre-programmati, non potrà sovrapporsi sempre favorevolmente a quanto richiesto dagli studenti e quindi a ciò che potrebbe loro essere percepito più accessibile ed accattivante.  Non sarà cioè sempre possibile colpire favorevolmente l’interesse di tutti.

La motivazione intrinseca dovrebbe essere formata costruendo in parallelo un atteggiamento nell’individuo stesso, funzionale a dirigersi verso la ricerca, ovvero in quella dimensione dentro cui ciascuno guida se stesso affinchè riconosca in sé, coscientemente, quali sono quei criteri e requisiti che lo definiscono come uno studente motivato. Anche se, per l’appunto, costruendo un vero e proprio atteggiamento che include la motivazione intrinseca, si trasmuta il prototipo dello studente che ha voglia di intraprendere il suo ruolo, per poter accedere ad un livello supplementare in cui l’identità globale della persona umana è connotata da una propulsione intrinseca verso la conoscenza e l’autoformazione.

Quindi non vi sono più soltanto gli interessi orientati e rivolti esclusivamente all’interno delle vicende legate al ruolo dello studente, nel suo percorso istituzionale e formale dell’apprendimento, ma si sviluppa una motivazione intrinseca funzionale alla conservazione della stessa e quindi dell’attitudine alla ricerca ed al conoscere, con il quid qualificante del saper valutare da sé, ovvero in riferimento all’uso di quell’abitudine che ci inclina ad analizzare ipotesi, fatti ed opinioni secondo le proprie coordinate di percezione ed elaborazione della realtà, sapendo quanto sia importante distaccarsene e permettersi eventuali nuovi percorsi di pensiero e di approccio fattuale. Costituirebbe perciò una raffinata espressione di processo metacognitivo e di pensiero ri-costruttivo, dal momento che vi si aggiunge una visione propria, atta a reperire e riconoscere quei nodi causali, quei nessi e quei legami che apparentemente potrebbero non sembrare congiunti fra loro o non mostrare attinenza. La natura di tale processo (che comunque va istruito e monitorato) restituisce una descrizione più complessa (e anche più completa) e di maggiore rilievo alla morfologia con cui si può intendere la motivazione intrinseca. Ciò può stabilire un rapporto più autentico col piano dei vissuti personali e di ciò che riusciamo a co-creare e realizzare dentro e intorno a noi. Trovare le interconnessioni fra le variabili che si aggregano nel costituire i fenomeni più complessi, significa poter decodificare ciò che possiede già una sua architettura stabile ed ingegneria armonica, insomma ciò che si cela in una struttura di senso della quale non sarebbe possibile coglierne aspetti più ampi qualora venisse letta con strumenti ridotti e cognitivamente poveri. Questi passaggi hanno dunque bisogno di essere svolti dentro processi intellettivi di raffinato spessore qualitativo. A questo punto, la motivazione intrinseca non è più un singolo fattore isolato ed eventualmente a cui si può rinunciare od ignorare con sussiego e sufficienza. Se questo fenomeno si avvicenda con ciò che è più comunemente inteso con l’espressione “intelligenza”, allora ecco che questa svolge un processo ausiliario di servizio fondamentale, nei confronti di quelle strutture e funzioni che ricadono dentro l’attività intellettiva. Pur concesso che, in questo caso, si parla di attività cognitiva ancora logico-causale, e quindi riservatamente connessa alla capacità di cogliere quei legami dinamici fra gli eventi e i fattori che li stimolano e li caratterizzano.

Resta pertanto da sollecitare la motivazione intrinseca dal momento che questa funzione si mette al servizio di tutti quei processi destinati alla pianificazione e al controllo che permettono di esplorare e monitorare i dati della conoscenza con necessario rigore e ordine strutturale. È da questo punto in poi che la stessa si intreccia dentro le espressioni intellettive complementari a quelle convergenti e lineari, determinando processi operazionali e sequenziali a carattere creativo. Tali interessanti procedure sono già state oggetto di studio e ricerca da parte di diversi autori che ne hanno già dato definizioni, funzioni e modelli teorici descrittivi differenti, e che al medesimo tempo riconducono comunque alla capacità di pianificare e ri-costruire percorsi, modelli e strategie, modificando quindi le strutture del pensare e dell’agire espandendo il proprio potenziale di problem- solving, legato sia alla visione e comprensione degli eventi, che anche alla ricerca e alla scoperta di soluzioni efficaci.

L’impegno per sviluppare la motivazione intrinseca assume a questo punto un vero e proprio obiettivo squisitamente pedagogico, dal momento che riguarderà più in generale la finalità di costruire un modello personologico sospinto da sé verso i traguardi della conoscenza. L’orizzonte formativo fuoriesce quindi dal limite imposto dal ruolo dello studente, per approdare all’identikit di un soggetto che si prepara a fronteggiare la vita stessa con un atteggiamento aperto e sperimentale, in forza delle sue decisioni e delle sue strategie opzionali che ridefiniscono di volta in volta le cornici contestuali del proprio agire quotidiano. L’obiettivo si sposta dunque alla preparazione dell’individuo in grado di muoversi secondo coordinate proprie, capace quindi di leggere i propri stati interiori e di automotivarsi. Egli ne guadagna nei termini di una lettura di sé più appropriata, lucida e completa. D’altra parte è per questa ragione che la motivazione si declina in “intrinseca”, dal momento che si lega agli aspetti interiori e profondi della persona. La stessa dovrebbe aver stabilito già di per sé (favorita anche dalle esperienze) una spinta autonoma ed autoindotta ad apprendere, perché riconosce l’importanza di questo processo.

Pertanto, come primo requisito atto a definire le componenti che connotano la motivazione intrinseca, possiamo individuare l’interesse spontaneo. Quando parliamo di interesse spontaneo stiamo principalmente facendo riferimento alle istanze profonde dell’individuo che sono collegate ad una modalità di essere tipica del bambino. Il nostro bambino interiore ha bisogno di apprendere.  Si può osservare in varie occasioni che lo permettono, come un bambino (specie se piccolo, diciamo “pre-scolare”) sembri decisamente concentrato e motivato ad apprendere. Pur se nessuno lo sollecita e gli richiede espressamente di apprendere, egli si muove verso questa direzione. Nel caso poi frequenti scuole che strutturano e orientino la sua esperienza di apprendimento, egli non si sottrae e non si priva comunque dell’occasione di far da sé. Semmai, accade che proprio nelle fasi primarie del bambino, sia l’adulto ad intervenire per stoppare o limitare nel bambino l’iniziativa all’esperienza di apprendimento. Questo può accadere in quelle circostanze in cui l’adulto manifesta esigenze di controllo oppure è turbato da ciò che percepisce come ipotesi di rischio, o ancora come intemperanza o turbolenza nel comportamento del bambino, e non riuscendo ad intepretarne correttamente la legittima istanza la rigetta paralizzando la tendenza alla ricerca da parte del  bambino. L’adulto bloccante è di solito un individuo che si sente a disagio dentro lo spazio-tempo percepito dal bambino, che conduce i propri movimenti proprio sotto dettatura di questa interna e spontanea tendenza ad esplorare. Si potrebbe dire che chi non sviluppa (e quindi non usa) dentro di sé la motivazione intrinseca, forse sarà meno propenso a riconoscerla ed incoraggiarla negli altri. La potrebbe considerare inappropriata in vari contesti e sentirsene infastidito.

È curioso però come tutto ciò rappresenti un problema che durante le fasi primarie nella vita di un bambino riceverà poi indirizzi e sollecitazioni di segno opposto: Ovvero: il bambino dapprima inibito ed ostacolato nei suoi tentativi di scoprire e di domandare, viene nelle fasi successive di scolarizzazione e di sviluppo incitato ad usare un’apertura di pensiero che non gli è stata mostrata e nemmeno concessa. Quindi, se in una prima fase, l’adulto è impegnato principalmente al controllo della tensione esplorativa, e dunque di privare e svuotare il bambino della forte spinta primaria ad apprendere, successivamente cerca di compensare ciò che gli ha sottratto in termini di energia atta all’esperienza attiva della scoperta.

Educare una mente ad essere sempre curiosa, ricettiva, divertita dall’esperienza dell’apprendimento, capace di verificarne l’utilità, risulta dunque un aspetto essenziale della formazione integrale dell’individuo a cui dedichiamo la nostra azione educativa.

Come secondo requisito possiamo annoverare l’esplorazione. Non c’è motivazione intrinseca senza un adeguato comportamento di esplorazione, quindi di un vero e proprio schema motorio che fa parte di un atteggiamento e di un modo di essere che si esprime attraverso un repertorio visibile, osservabile e misurabile. Ciò include anche il sapere cosa fare e come comportarsi. Dunque dalla manipolazione degli oggetti e da un’esperienza che porta il bambino ad essere fruitore di cose, sia in contesti spontanei che in quelli a vari gradienti di strutturazione. Questo genera, o dovrebbe generare, qualora le variabili fossero favorevoli, il piacere dell’apprendimento, che reitera l’esplorazione inducendo l’effetto della ripetizione del comportamento grazie ad un rinforzo che ne consolida e ne favorisce la continuità e la gratificazione.

La motivazione intrinseca è così praticamente sostenuta mediante un’esplorazione che determina un comportamento di avvicinamento all’oggetto di interesse, che riproduce un “andare verso”, “aprirsi incontro a “, che sviluppa un atteggiamento curioso ed accogliente, legando la motivazione intrinseca ad un vero e proprio nodo personologico che disegna l’individuo in toto, oltre le aspettative e i dettami di un’agenda didattica e socialmente prescritta. Questo atteggiamento traccia un verso nettamente opposto al rifiuto, al’arretramento e all’oppositività preconcetta che spesso si manifesta nel rapporto con la conoscenza. In questo modo è possibile oltrepassare tutto ciò che blocca od ostacola l’esperienza di apprendimento, in questo caso boicottata dalla paura. Si sollecita cioè il piacere della ricerca e il desiderio di conoscere, stabilendo fra queste due coordinate un importante intreccio che diviene la modalità mediante cui un essere cosciente si manifesta quando gli è necessario.

Il problema che si pone è che i requisiti che connotano in modo precipuo il fenomeno di cui in esame, non possono da soli garantire la permanenza della qualità motivazionale in oggetto, nonostante ne siano i principali precursori originari. Esiste dunque il tema della conservazione nel tempo, e non solo della generazione circa la motivazione intrinseca.

Altro importante requisito è la capacità di cogliere la validità dell’esperienza (apprendimento significativo), ovvero farla coincidere non soltanto con un fatto legato all’introiezione di conoscenze e di nozioni da trasformare in successive abilità e competenze, ma anche come un vero e proprio percorso formativo di vita, dal quale accogliere aspetti che risultano fondamentali per modellare i propri vissuti e la propria personale visione di mondo, cioè i propri costrutti.

La motivazione intrinseca, divenendo un oggetto di studio che trova spazio nello studio di una pedagogia applicata e dunque attenta a rilevare preziosi indizi nei privilegiati contesti e corrcostanze in cui poterla osservare, pone non soltanto il problema del come costruirla ma anche come conservarla e renderla imperitura a dispetto di eventuali interferenze e disturbi esterni che potrebbero perturbarne il regolare incremento e stabilità.

Come favorire la conservazione di un atteggiamento curioso, esplorativo, attivo, partecipe e ricostruttivo del senso stesso dell’esperienza di apprendimento?

Due criteri fondamentali possono essere i seguenti: prendere atto sulla necessità che l’esperienza debba restituire un effetto di successo, di soddisfazione, di piacere di gratificazione per esempio nel raggiungimento dei propri obiettivi e della loro possibile condivisione e valutazione. Questo va anche nella direzione del rafforzamento della propria autoefficacia ed autostima. Ciò significa anche che fin dai primi passi, da quando cioè si cerca di formare questo atteggiamento, è necessario costruire itinerari didattici di apprendimento senza errori. Ovvero percorsi privi dell’esperienza dell’insuccesso e salvaguardata dal fallimento. Questo aspetto non è mai semplice da spiegare nemmeno a volte agli addetti ai lavori, molti dei quali sono assertori della necessità di imbattersi nell’errore e di non poterlo del tutto prevenire o prevedere, se non con percorsi troppo meccanizzati e unilaterali. È certamente un’area che ospita un dibattito dai toni accesi e controversi. È altrettanto necessario però contestualizzare e riconoscere i settori in cui un tale principio di programmazione può essere di buon auspicio e di grande aiuto. Se è vero che da una parte l’incontro con l’errore permette la revisione a ritroso di un percorso e lo scaturire di nuove domande, ed il rilancio di un’azione diretta a migliorare ed a trovare l’EXIT come step conclusivo di un problem-solving, d’altra parte è altrettanto vero che l’esperienza dell’errore incontrata all’inizio del percorso formale dell’apprendimento può generare una sorta di improntamento che può scoraggiare a lungo (o per sempre) l’intraprendenza del soggetto che ne è stato esposto.  Si rende quindi necessario che i primi passi siano almeno facilitati, e prevedano che il proprio rudimentale livello di autonomia sia abbastanza sufficiente per superare ostacoli ed impasse,  e quindi per autocorreggersi. Sull’esperienza del feedback autocorrettivo esiste peraltro tutta una letteratura e un’area di confronto che richiama anche le teorie montessoriane sull’apprendimento. Può dunque essere previsto un certo livello di difficoltà purchè affrontabile e purchè riconduca al confronto con se stessi in termini qualificanti e positivamente autovalutativi.

È necessario che la motivazione intrinseca venga legata a un concetto di plasticità e di elasticità mentale. La motivazione intrinseca rischierebbe di scomparire progressivamente fino ad estinguersi, qualora l’esperienza dell’apprendimento non risultasse di volta in volta affascinante nella programmazione e nella proposta dei contenuti e dell’itinerario suggerito. Il desiderio di apprendere deve essere soddisfatto e deve essere sedotto specie lungo il tragitto che si compie nel rapporto con la conoscenza. Anche qualora ci trovassimo di fronte a nozioni statiche, standardizzate, spesso non del tutto in grado di rappresentare i bisogni delle generazioni contemporanee, queste vanno presentate attraverso un modello che richiama una struttura “per problemi aperti”, quindi sarebbero da preferire le domande piuttosto che risposte preformate e che magari non rispecchiano il linguaggio e gli stili di chi si sforza di interpretarle. Quindi, nel tentativo e nell’impegno di sollecitare e fomentare le idee altrui, proponendo appunto temi da problematizzare, caratterizzati al loro interno da incongruenze, enigmi, aspetti che possono lasciare ampi e costruttivi margini di confronto e di discussione.

Di conseguenza, la motivazione intrinseca dovrebbe essere tanto più sostenuta e sviluppata quanto più si riesce a cogliere nello studente il suo personale stile di apprendimento, e quindi a coniugarlo anche alla proposta e alla metodologia didattica nell’ipotesi di poter individualizzare il tragitto come un abito tagliato su misura e adatto alle singolari esigenze di ciascuno, al fine di valorizzarne la diversità e cogliendo ogni specialità come una potenziale risorsa anche nell’ambito della restituzione delle proprie qualità condivise in un compito affrontato nel gruppo. Si riconosce sia sotto l’aspetto teorico che operativo quella zona di sviluppo prossimale che consta dell’allargamento del proprio potenziale ottenuto attraverso una situazione di apprendimento che favorisce nell’individuo ciò che prima egli otteneva semplicemente aderendo a percorsi standard, anche se in autonomia. Se invece l’allievo è affiancato, facilitato, sostenuto, favorito tramite l’impiego di mezzi e strumenti idonei alle sue caratteristiche personologiche ed alle sue speciali e uniche tendenze, requisiti e attitudini, di conseguenza il suo rendimento ne può beneficiare ed esprimersi con maggiore efficienza. Tale qualità non dovrà limitarsi naturalmente ad essere considerata sulla base di quanto riesca ad uniformarsi agli standard quantitativi richiesti per riscuotere una positiva valutazione, poiché a noi interessa soprattutto espandere la forza motivazionale intrinseca. Quindi è auspicabile avere presente nel modo più chiaro e completo possibile uno stato degli apprendimenti iniziale sull’allievo, in quanto fornirà preziose indicazioni su come adattare un percorso didattico sulla base delle peculiarità di ciascuno.

Ciò favorirà anche quel passaggio verso la realizzazione e la piena acquisizione del principio dell’inclusività scolastica, che nonostante la divulgazione di leggi, disposizioni e circolari ministeriali, cambiamento della cultura pedagogica e didattica sembra che stenti ancora ad essere collaudato e sperimentato in modalità soddisfacente.

Si può comprendere come il discorso sulla motivazione intrinseca non sia una questione da sottovalutare o da risolvere in una dialettica sommaria ed autoreferenziale, poiché questo argomento assume numerose valenze educative che la pongono come oggetto di studio da osservare nella prospettiva a lungo termine, coincidente cioè con quel concetto di sviluppo permanente che rende ciascun essere aperto continuamente all’esperienza dell’apprendimento. Il tema si declina verso la scoperta dell’interessante legame fra motivazione intrinseca e intelligenza produttiva, con richiami al pensiero creativo (laterale, divergente, “destro”; nominato con varie espressioni a seconda degli autori a cui ci si riferisce).

Possiamo vedere quali sono alcuni di questi stili di apprendimento:

a) Alcuni studenti rivelano una preferenza per un percorso cosiddetto deduttivo, e quindi hanno necessità di impostare un rapporto con la conoscenza in modalità globale e sintetica, per poi poter procedere dentro un percorso di ricerca più articolo ed anche analitico che riesca al tempo stesso anche ad essere sufficientemente distaccato e neutro rispetto a quelle che sono le ipotesi-guida di partenza.

b) Diversi studenti mostrano invece di imparare più facilmente se vengono loro mostrati esempi e connessioni aneddotiche con l’argomento affrontato, al fine di comprendere determinati fatti e sviluppi degli stessi mediante trame narrative simili che ne descrivono le vicende. In questo modo si riduce la complessità e si semplificano determinate nozioni rendendole maggiormente accessibili ed elaborabili.

c) Una discreta parte di studenti viene invece agevolata quando può riassumere, spiegare e sintetizzare attraverso schemi e diagrammi, specialmente coloro i quali hanno modalità di apprendimento di tipo visivo. Si tratta dello stile propriamente detto della categorizzazione. Per questa tipologia di allievi è importante visualizzare l’ordine, la sequenza, l’illustrazione che mostra le connessioni e le interconnessioni testuali fra gli elementi preponderanti di un tema. Ecco il ricorso a schemi, mappe, a tutto ciò che delinea in modalità rappresentativa grafica la descrizione di un determinato fenomeno soggetto al proprio interesse ed osservazione.

d) Vi sono poi coloro che possono ottimizzare il percorso dell’apprendimento quando soddisfano la necessità di ridurre o risolvere anomalie, incongruenze ed aspetti poco chiari all’interno del tema in oggetto. Costoro ricercano una visione coesa fra gli elementi sottoposti allo studio, in modo che la loro analisi si mostri il più possibile chiara e intelligibile. Il riferimento è praticamente al processo della concettualizzazione. La stessa, a sua volta, si suddivide in una sottotipologia strutturale (che descrive i componenti che costituiscono un insieme), funzionale (in cui si producono inferenze sui concetti e sui processi), tematico-relazionale (in grado di congiungere le prime due, in quanto maggiormente attenta ad applicare un paradigma olistico e dinamico).

Per concludere, l’impegno ad esaltare la motivazione intrinseca dovrebbe far parte del concetto della formazione integrale della persona, in quanto se si riesce a rendere vivificante e significativa l’esperienza dell’apprendimento, si può sperare che si sia riusciti a contrastare il crescente e dilagante disinteresse verso l’istruzione e il desiderio della conoscenza.

Forse, anche questo espediente può essere investito come antidoto all’indolenza del pensiero critico e creativo che affligge da fin troppo tempo una società sempre più omologata a degli standard di espressione sempre più mediocri e decisamente discutibili. Si tratta di assumere un impegno educativo di grande rilievo e responsabilità.

 

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socioeducativo, Formatore analitico-transazionale)

 

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