SE NON SIETE SEVERI, I VOSTRI FIGLI NON VI AMERANNO. Lettera aperta a tutti i genitori

Pubblicato il da Nuccio Salis

Chiarisco subito una cosa: non esiste e mai esisterà il manuale o la guida del perfetto genitore. L’errore è necessario per l’apprendimento, perché l’esperienza educativa non venga snaturata in qualcosa di meccanico e di astratto dal suo specifico contesto. Non vi sono formulari universali o ricette magiche. Il punto non è chiedere a chi è genitore di compiere l’impresa impossibile, ma di ricondurre le sue riflessioni e il suo agire in un percorso il più possibile sano, coerente ed equilibrato.

Non intendo con questo articolo dispensare suggerimenti non richiesti o peggio avanzare soluzioni da manualetto demenziale che banalizza la complessità dell’essere genitore. Questo piccolo e magari irrisorio contributo si pone invece come possibile espediente di riflessione, nell’auspicio che molti genitori la smettano di ripararsi dietro l’alibi scontato di come sia difficile essere genitore. È vero, è difficile, e per questo esistono le conoscenze, esiste la pedagogia, esiste la possibilità realistica di tentare di condurre nel migliore dei modi questo compito, tenendo conto di tutte quelle difficoltà che emergono in situazione e che elevano la funzione genitoriale in un contesto sociale e politico che obbliga a non lasciare sole le famiglie in questo percorso così impervio e impegnativo.

Con questo articolo, peraltro, violo in un certo senso una regola non scritta ma caldamente consigliata durante la mia formazione in counseling socioeducativo, ovvero di non aprire corsi di training genitoriale senza essere genitori. L’affermazione “ma se tu non sei genitore, allora cosa ne vuoi sapere?” è dietro l’angolo.

Questo è dunque un semplice e molto sintetico elenco di alcuni punti che io ritengo essenziali nel rapporto genitori/figli, e so anche che ciascuna persona connotata e motivata dallo spirito di ricerca ne saprà eventualmente fare un buon uso. D’altra parte è questo l’unico intento con cui mi accingo a presentarlo:

 

 

_ Se non siete severi, i vostri figli non vi ameranno

In questa ultima fase storica si è soliti confondere il rigore e la disciplina con l’autorità e il controllo, ma niente di tutto questo, invece. Tutti i figli, anche se in modo inconsapevole, ricercano genitori capaci di fare da guida, di indicare la rotta e di tenere con fermezza il timone della nave. Qualora, difatti, questi si sottraessero a tale responsabilità, verrebbero richiamati con ogni mezzo, anche quello più rudimentale, che nel repertorio di un bambino sono i capricci, le bugie, i dispetti o le manifestazioni “disturbate” del comportamento, anche in chiave psicosomatica. Un adolescente ha a disposizione l’espressione di atteggiamenti devianti, oppositivi e sfidanti, con l’obiettivo non riconosciuto di reperire un contenitore affettivo e normativo sicuro, di raggiungere un porto stabile che lo salvi dal naufragio e dalla confusione.

Nessuna generazione e nessun adulto ringrazieranno i loro genitori perché sono stati molli e permissivi. Piuttosto tutti riconosciamo il nostro acquisito capitale di valori e di insegnamenti civici e morali proprio a quei genitori, i quali magari anche con modalità a volte discutibili, si sono prodigati nell’impegno di trasmetterci la preziosa eredità di princìpi e di coordinate etiche e comportamentali, e che ciascuno di noi ha puntualmente fatto propria ed aggiornato e negoziato con i nuovi processi storici di cui siamo tutti protagonisti.

Pertanto, compiacere ed assecondare i vostri figli, accontentarli sempre, difenderli anche quando sono palesemente in torto, vi collocherà ai loro occhi in una posizione di non credibilità e non affidabilità, generando in loro un vuoto affettivo ed una ferita mortale fatta di delusione e percezione di insicurezza. È questa, paradossalmente, la ragione per la quale diventeranno irriconoscenti, pretestuosi, provocatori e trasgressori dei vostri precetti. Stanno implorandovi ad assumere la funzione che vi spetta: guida, controllo e indicazioni, ed una equilibrata mescolanza fra proibizioni e permessi. In questo senso può essere intesa la severità, ed assumere un’accezione positiva che ha a che fare con l’ordine, l’equilibrio, la stabilità, seppur all’interno di un processo caratterizzato dalla crescita all’interno di un divenire storico. La libertà di scegliere e di disporre di un largo assortimento di opzioni, non coincide esattamente con l’avere più opportunità, se questa viene vissuta con un senso disgregante di frammentazione, specie se non si può contare sull’esperienza di un genitore in grado di offrire una valutazione, un punto di vista come risorsa che ciascun figlio può considerare e confrontare con i propri bisogni ed obiettivi.

 

 

_ Non abbiate paura di sbagliare, tanto sbaglierete comunque

Non commettete l’errore di non sbagliare! Ma tanto credo sia decisamente improbabile per ciascuno di noi, quale che sia il proprio campo di lavoro. La paura di sbagliare, oltre a condurre inevitabilmente al più grossolano degli errori, ci identifica dentro un personaggio configurato secondo comuni aspettative idealistiche. Vestire i modelli sociali senza contestualizzare il proprio ruolo in funzione anche della singolarità speciale di ciascun figlio, significa aderire a precetti irreali che non ci appartengono e che non possiamo sentire nostri. Certo, con questo non vi voglio dire di ‘fare sempre e comunque di testa vostra’; per fortuna ogni comunità si dota anche di leggi e normative atte per esempio a tutelare l’interesse e il patrimonio pubblico, l’incolumità di ciascuno e la non violazione della proprietà privata.

Ma per essere dei modelli credibili nei confronti dei figli occorre essere autentici! E nell’essere autentici è implicata anche la pacifica ed evidente ammissione dei propri limiti e delle proprie imperfezioni. Insomma, lo standard col quale i vostri figli si identificheranno con voi sarà del tutto umano e alla loro portata, senza soffrire del frustrante e mortificante confronto con un (irreale) modello di impeccabilità e perfezione. Questa condivisione non vi esautorerà dal vostro ruolo, anzi vi ricolloca dentro una cornice realistica, coerente e credibile, ed i vostri figli vi potranno apprezzare, seguendovi seppur con la necessaria criticità, utile alla crescita di tutte le parti coinvolte nell’esperienza educativa.

 

_  I NO sono necessari

È un monosillabo, foneticamente non impegnativo, forse anche meno di quanto lo sia il Sì, eppure vi sono contesti in cui sembra davvero non uscirne nemmeno il suono.

Mi permetto soltanto di dire questo: se trovate difficile dire un NO ai vostri figli, provate a costruire intorno a voi un contesto di anomia e di mancanza di rispetto nei vostri confronti. Perché questa sarà comunque la conseguenza di un rapporto famigliare in cui la complementarietà fra le parti è pressoché prossima allo zero, ovvero degenera nella caricatura di un rapporto amicale. Questo è decisamente uno dei principali pericoli da scongiurare. Se farete l’amico di vostro figlio, egli avrà di conseguenza ottenuto il diritto di non obbedirvi e di appellarvi come gli capita, e andrà a ricercare un genitore altrove, rinfacciandovi il fatto che voi non c’eravate quando lui ne avrebbe avuto bisogno.

Gentili genitori, avete il diritto di conoscere che la componente essenziale, fondante ed irrinunciabile di ciascun rapporto educativo che vuole essere funzionale ed efficace è la disparità di potere fra voi e i vostri figli,  naturalmente a vostro vantaggio. Non si tratta di una condizione di dominio atto a sottomettere e strumentalizzare, ma di una naturale asimmetria presente perfino in molte specie animali. In un percorso educativo deve esserci un capitano, altrimenti la nave sbanda e va fuori rotta. Accettereste che nella classe scolastica di vostro figlio ci fosse un insegnante che invece di svolgere il suo mestiere fa solo giocare i bambini e se li fa passeggiare in testa mangiando la merendina? Accettereste che nella palestra di judo di vostro figlio si fa quel che vogliono gli allievi e non quello che asserisce il maestro? E perché non lo accettereste? In quel caso vi rendereste conto di quanto sia importante la presenza di un adulto competente che decide e pianifica per chi ancora non mostra sufficiente maturità per fare da solo. Ecco, a maggiore ragione questo è esattamente il ruolo di un genitore, come educatore naturale dei propri figli.

Ed allora stabilire limiti e regole spetta a voi, e in alcuni casi soltanto a voi, senza mediazioni e senza appelli. La cultura contemporanea individualista che promuove l’anomia e alimenta il disagio non accetta più questa condizione indispensabile, lo comprendo, ed è qui che si misura la qualità dell’essere genitore anche in un contesto in cui l’educazione è diventata impopolare, un ostacolo alle priorità e alle spinte individualiste e all’affermazione di sé a discapito di altri. Gli effetti di questa contingenza storica sono visibilmente verificabili e osservabili da ciascuno di noi.

Se siete diventati biologicamente genitori, infatti, questo non è sufficiente, perché i titoli ed i requisiti ve li dovrete conquistare sul campo, che molto spesso è per l’appunto un territorio di battaglia. Potete tenere a mente che le conseguenze della resa e della rinuncia sono molto più pesanti e dolorose della lotta che si intende condurre.

 

_ Evitare le etichette e i confronti

Molto spesso appellate i vostri figli con epiteti francamente denigratori ed offensivi. Perché lo fate? Con chi ce l’avete? OK, vi è scappato in un momento di rabbia, ora potete riconoscerlo e rimediare. Non è facile, soprattutto per un bambino molto piccolo, accettare ed elaborare la ricezione di un’etichetta squalificante, gratuita, improvvisa, che peraltro ferisce la persona e non focalizza l’azione. Un bambino piccolo cade mentre sta sperimentandosi nella corsa: “Stupido!”, si leva subito una voce che colpisce in maniera ferale l’immagine che quel bambino ha di sè. Non può associare la percezione di essere stupido con un motivo valido. Lui credeva che cadere facesse parte della regolare esperienza del provare ad imparare qualcosa di nuovo ed a perfezionarsi, non sapeva che non riuscire equivalesse ad essere stupidi.

È incredibile constatare quanto a volte basterebbero degli accorgimenti così semplici ma efficaci. Eppure, la differenza fra sottolineare l’inappropriatezza del comportamento e insultare la persona può generare due strutture di personalità molto diverse: la prima si concentrerà sull’errore, conservando la fiducia in se stesso e riprovandoci, mentre la seconda sperimenterà il senso del fallimento e l’irrimediabilità del suo essere inadeguato e privo di valore. La prima verrà fortificata e la seconda potrebbe darsi alla devianza, come ricerca definitiva dell’annullamento di sé.

Queste attenzioni così sottili sono molto importanti, specie quando i bambini sono molto piccoli: i nostri atteggiamenti verso i loro confronti vanno assunti con estrema consapevolezza e senso di responsabilità.

 

_ Il gioco è soltanto il gioco

Vi sarebbe tanto da scrivere (e in altre occasioni l’ho fatto) su quei genitori che incitano i loro figli nelle competizioni sportive, improvvisandosi allenatori di calcio, dandosi a comportamenti sgangherati e ridicoli, e che forse per primi mettono in imbarazzo proprio i loro figli. Tutti vorrebbero avere in casa il nuovo Ronaldo, magari per esibirlo coi palleggi davanti ad altri amici o parenti. La cultura del campionismo e della vittoria a tutti i costi ha decisamente inquinato la gratuità dell’attività e del passatempo sportivo, fra i bambini, col rischio di elevare la richiesta degli standard di prestazione (sempre secondo i genitori), caricando i figli di aspettative irrealistiche e dando loro pesi emotivi veramente difficili da sostenere, specie quando i genitori collegano, senza nemmeno rendersi conto, l’affetto con la qualità della prestazione sportiva del figlio, mettendo in primo piano il ruolo e delegittimando la presenza di uno scambio affettivo che deve rimanere incondizionato, da vivere in presenza, non vincolato dalle assurde richieste (anche implicite) di taluni genitori.

Il gioco è solo il gioco, e vostro figlio è solo vostro figlio, non è l’attaccante o il portiere di quella squadra.

Recuperare la dimensione affettiva nella sua caratterizzazione gratuita e spassionata servirà a non far vivere i vostri figli nel ricatto affettivo, salvaguardandoli dall’agire solo con l’ansia di deludervi, o peggio dal senso di colpa per non essersi adeguati ai vostri bisogni.

Lo so, si tratta di un fenomeno curioso: nel tentativo di fortificare e incoraggiare i vostri figli potreste averne fatto proprio degli insicuri, cioè come voi non li volevate, benché sarebbe bene in aggiunta ricordare che essi hanno il compito di diventare semplicemente ciò che già sono, e non la proiezione delle vostre idealizzazioni.

 

_ Basta con la “colpa”

Sembra che diventare genitori non possa proprio affrancarsi dall’immancabile senso di colpa a priori che vi è associato. La colpa sembra proprio essere la linfa vitale (o meglio mortifera) che accompagna questo complesso e difficile “mestiere”. Quel che possiamo fare, cari genitori, è cercare di distinguere insieme la differenza fra avere scrupoli, attenzione e capacità di mettersi in discussione, monitorando gli effetti delle proprie decisioni, con invece il terribile concetto e vissuto di colpa. Questo non vi farà assumere decisioni lucide, e inoltre la vostra insicurezza potrà essere chiaramente percepita e manipolata facilmente da figli particolarmente astuti e intuitivi.

Inoltre, se le vostre azioni sono guidate da sensi di colpa, modellerete i vostri figli nel sintonizzarsi con questo velenoso espediente e inquietante parassita.

Anche in questi casi, un rovesciamento del proprio linguaggio convenzionale è necessario, cari genitori, dal momento che se è vero che desiderate che alcune cose intorno a voi cambino, dovrete fare il primo passo ed impegnarvi a cambiare voi per primi. “Ciò che sta dentro è uguale a ciò che sta fuori”, avevano già compreso i saggi alchimisti. E allora come primo passo bandite questa parola dal lemmario di una genitorialità sempre frustrata, disarmata e repressa. Sostituite questo termine con ‘responsabilità’, e constaterete quasi increduli come l’ambiente sociale comincia a rispondere in un modo del tutto diverso, ed anche voi a ripristinare certi vostri equilibri. Se la colpa, infatti, rende inattivi, indegni e sconfitti, la responsabilità carica invece di nuove opzioni dell’agire, ed offre una spinta volitiva verso il vero cambiamento, sviluppando la capacità di scegliere ed esplorare in autonomia altre modalità dell’essere.

 

_ Attenti ai doppi messaggi

Spesso comunichiamo coi nostri figli senza realmente poter illustrare coerentemente, coi fatti, ciò che invece annunciamo a parole.

Alcuni esempi frequentemente osservabili e riscontrabili nella quotidianità: una volta ero al mare ed ho potuto vedere una madre che ha rimproverato in modo esagitato il bambino che la richiamava con insistenza e ad alta voce, impedendole di chiacchierare serenamente con un’amica: “TI HO DETTO CHE LA DEVI SMETTERE DI URLARE!!!”, strillò, catturando l’attenzione anche dei bagnanti della spiaggia accanto. Il bambino pianse, e naturalmente non per le urla della madre, ma perché lei gli aveva appena confermato di averlo messo in secondo piano, ignorando i suoi bisogni.

Le competenze comunicative almeno di base sono necessarie, e curare la congruenza fra l’espressione verbale ed il modo di condurla è un compito a cui si deve far fronte. Molto spesso, invece, diversi genitori proclamano ed annunciano conseguenze su certe violazioni di regole e di comandi, ai quali invece poi, forse per distrazione o peggio perché sprovvisti di reali possibilità non ne fanno sortire gli effetti. Questo è un comportamento altamente rischioso, perché è in gioco ancora una volta la credibilità del genitore. Se non avete realmente dato seguito agli effetti annunciati, allora le vostre intimidazioni sono apparse del tutto ridicole, e guadagnarsi il rispetto dei figli potrebbe risultare a quel punto una strada molto ma molto in salita.

 

_ Chiedere consulenza è positivo

La paura (o meglio il terrore) di essere giudicati, può portare alcuni genitori a svalutare il bisogno di essere eventualmente anche affiancati per un periodo di particolare debolezza nel loro ruolo, da un professionista in grado di offrire un sostegno con un punto di vista più neutrale e propenso ad attivare e potenziare le risorse che i genitori già posseggono.

Eppure, forse per la maggior parte di loro, appellarsi alla consulenza di uno specialista in grado di elevare le loro competenze equivale all’ammissione di un fallimento. Mi piacerebbe tanto poter raggiungere tutti quei genitori invischiati in questo tremendo equivoco, e dire loro quanto dal punto di vista del professionista ciò risulti proprio il contrario: noi operatori di aiuto infatti apprezziamo il fatto che si riconosca la presenza di una situazione problemica da fronteggiare, ed anzi a dire il vero questa è già metà dell’opera. Il genitore che desidera un colloquio con un professionista che può aiutarlo a sviluppare alcuni strumenti e strategie finalizzate al miglioramento della relazione coi propri figli non fa altro che mostrare maturità, serietà e responsabilità in merito al ruolo che si è assunto nella vita. Quindi l’esatto contrario di come invece viene molto spesso percepito dagli stessi genitori.

Il contesto di accoglienza è pensato per produrre agio e promuovere il desiderio di migliorarsi e mettersi in gioco, potendo contare su un sostegno temporaneo che aiuta a mobilitarsi nell’autonomia. Non abbiate paura a rivolgervi a chi ha esclusivamente l’interesse di aiutarvi: mettete in discussione la falsa credenza di poter risolvere tutto da soli specie in situazioni particolarmente intricate: fatelo nell’interesse dei vostri figli.

 

 

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socioeducativo, Trainer analitico-transazionale, Educatore professionale)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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