INSTANCABILI E IRREQUIETI. Chi sono gli iperattivi e come possiamo aiutarli

Pubblicato il da Nuccio Salis

La costruzione di un setting educativo pone sempre degli interrogativi di non immediata soluzione. Il contenitore ospitante l’evento, condotto secondo un principio e una modalità strutturata, dovrà rendere conto, nella presentazione dell’arredo e degli artifici, della cornice spazio-tempo che si intende programmare e delle peculiarità personologiche a carico del destinatario che viene esposto e coinvolto nell’azione educativa.

 

Come primo punto può essere importante considerare (o eventualmente testare in progress) la particolare fruizione del flusso stimolatorio da parte del soggetto a cui viene rivolto il proprio intervento. Abitualmente, il bambino certificato con l’ADHD, e quindi con una combinazione fra deficit attentivo e comportamento iperattivo, possiede una bassa soglia di eccitazione reattiva, ciò significa che facilmente può essere attivata in lui la risposta iperattiva, e che possono essere sufficienti presenze relativamente minime di input eccitatori, per innescare la difficoltà a mantenere la stabilità attentiva verso un oggetto od attività. Ciò obbliga a tenere presente che nella soggettività della sua percezione,  un evento può risultare particolarmente attraente ed accattivante. Questa circostanza completerà l’espressione del pattern disfunzionale osservabile.

 

La labilità della tenuta attentiva produce peraltro un effetto di perdita mnestica del materiale esperienziale acquisito nelle dinamiche oggettuali. ciò significa che il bambino ADHD ricorderà anche meno degli altri un eventuale percorso risolutorio costruttivo che da luogo ad una procedura del tipo inizio-fine, e che dunque faticherà a ri-eseguire piani di sequenze di problem-solving stabili e lineari. In pratica, le sue condotte comportamentali relative al gioco (solitario o condiviso) non gli danno la possibilità di introiettare strutture che possano ripetersi all’interno di un percorso diretto ad uno scopo. Questo aspetto è molto importante perché ciascuno di noi attraverso i propri giochi e la gestione ludica anche dell’intera cornice situazionale, ha costruito le basi della propria storia e della propria identità. La continuità produce un senso di sicurezza, e solo quando questa è stata sufficientemente costruita diventa pensabile introdurre quelle modifiche comportamentali che creano le ‘varianti sul tema’, conferendo all’esperienza ludica della manipolazione una piena caratterizzazione di esplorazione creativa, ricerca e tensione verso il nuovo. È molto importante che nell’esperienza di un bambino si incontrino e si combinino fra loro le  due rispettive dimensioni dell’ordine e del caos. Il primo aspetto garantisce al vissuto del bambino un’architettura esperienziale connotata dall’elemento della stabilità e della spinta di base, ed il secondo fattore completa ed arricchisce la vita emotiva e cognitiva dello stesso, ampliando le opzioni esplorative e collocandolo attivamente fuori dagli sterili meccanicismi di un loop banale, monotono e ripetitivo.

 

L’afinalismo dell’attività nel modello comportamentale del bambino ADHD contiene dunque questo rischio implicito da considerare, ovvero l’abitudine a non creare un senso ed una direzione sicura che garantisca valide conclusioni nell’attività e nella percezione dello scopo. Ciò che prevale è l’autoreferenzialità dell’appagamento oggettuale, fuori da una cornice di significato compiuto, con l’effetto deleterio che questa quota libera e residua di energia non catalizzata verso una meta pianificata, riproduca l’effetto della dirompenza nei confronti dell’ambiente dentro cui il bambino stesso agisce, auto-alimentando azioni disturbanti e comportamenti problema. Nell’intreccio fattoriale interdipendente fra le variabili “attenzione – motivazione – faticabilità”, si verifica un inevitabile declino e tracollo congiunto e parallelo fra tali elementi in posizione reciproca. In breve, il gioco senza uno scopo provoca la flessione motivazionale che eccita la caduta attentiva e anche viceversa, abbassando anche la soglia di faticabilità, dal momento che un’attività percepita come non utile e demotivante, certamente annoia anche prima del tempo.

 

Affetto, cognIzione, energia

Il principio conduttore che sostanzia l’intervento educativo consiste nel costruire un percorso educativo diretto ad arricchire le capacità rappresentative del bambino, ovvero a far maturare nello stesso l’abilità essenziale nell’ascrivere significati agli oggetti ed agli eventi generati dal suo comportamento ludico e di contatto con le cose. Quando si verifica la non capacità di attribuire e configurare un senso definito all’esperienza oggettuale, la cosa tangibile con cui si entra in contatto non può essere investita di significati su un piano interpretativo e proiettivo; non può cioè modellarsi un gioco di tipo simbolico, per esempio, o anche non viene pensato l’oggetto al di la della sua fissità funzionale, mancando quindi l’elemento dell’uso creativo e alternativo dello stesso, e ancora non può essere delineato lo stesso come artificio transizionale, ovvero come succedaneo concreto con funzione compensativo-affettiva sotto il profilo del vissuto più intimo e della ricerca di appagamento dei bisogni di base.

 

Il registro psichico e comportamentale del bambino illustra perciò chiaramente come la doppia valenza riguardo sia all’uso simbolico che pratico di un oggetto, subisce un deficit piuttosto significativo, se non addirittura un’assenza in uno o in entrambi gli aspetti citati. Questo non può che determinare una incongruenza nel processo maturativo, che in un percorso tipico si arricchisce delle valenze sopradescritte. Le conseguenze intrapsichiche possono riferirsi a sensazioni di disorientamento e confusione, dispersione e frammentazione del Sé, che il soggetto cerca di reintegrare ricorrendo però a schemi di comportamento maldestri e disturbanti, che rivelano la sua turbolenta inquietudine, e che costituiscono la prova di come venga regolarmente frustrato il bisogno di ordine, prevedibilità e controllo.

 

Occorre in ogni circostanza la competenza operativa che consente di osservare la complessità del repertorio espressivo del bambino, procedendo secondo una visione olistica ed evitando di privilegiare una corrente teorica dominante, in quanto questa potrebbe farci perdere di vista la natura del legame di interconnessione fra gli elementi coinvolti nell’intero processo di crescita. In altre parole, seguendo i progressi in merito alla letteratura prodotta sul tema, si è andata via via affermando una modalità osservativa che ha superato certe rigidità ortodosse, a vantaggio di spiegazioni e ipotesi di ricerca più mature ed affidabili. In questa precisa e circoscritta area di studio di cui in oggetto, ad esempio, diventa essenziale comprendere come non sia possibile scoprire e dimostrare con assoluta evidenza e ripetibilità l’esistenza di legami causali lineari fra le parti in gioco, quanto piuttosto sia più auspicabile scoprire come certi aspetti osservati abbiano una dinamica circolare fra gli elementi partecipanti. Un esempio che rafforza tale costrutto teorico-operativo è costituito dal dover constatare che in un certo numero (benché imprecisato) di bambini trattati, l’utilizzo non finalizzato di oggetti e giocattoli da manovrare viene associato ad anomalie e irregolarità nel controllo prassico, e quindi ciò lega l’assenza dell’attività rappresentativa interna (poi spostata sull’ambiente in termini comportamentali) con un deficit di natura strumentale e neuromotoria. L’ipotesi di intervento viene in tal caso prodotta nel tentativo di soddisfare sia il recupero di specifiche e residue abilità cinesiche, che di incoraggiare l’espansione di un linguaggio in grado di alfabetizzare l’esperienza dal punto di vista emotivo, aiutando il Sé a colorarla di significati che ne costruiscano un assetto coeso ed unitario, restituendo al soggetto educando un’immagine di sé più sicura e consolidata su una rinnovata impalcatura di senso da cui leggere la propria esperienza e divenirne autonomo artefice ed autore.

 

Un programma di allargamento sulle capacità comunicative potrebbe costituire un’ipotesi auspicabile e percorribile per fronteggiare i deficit sulla decodifica dell’esperienza in vivo, da parte del bambino, che viene istruito al linguaggio dell’emotività e della relazione, ricevendo di conseguenza  il mandato di impegnarsi a rimodulare le relazioni oggettuali perché assumano una direzione finalizzata ed eventualmente una valenza interpersonale costruttiva e funzionale. Si dovrebbero a questo punto constatare miglioramenti circa gli effetti sul benessere intrapsichico (col riconoscimento e l’uso appropriato delle parti di sé rinnegate) e sulle modalità effettive attraverso cui si sviluppano rapporti sociali ed affettivi fondati sulla reciprocità, sulla interdipendenza positiva e su un’autentica prospettiva di alleanza cooperativa e prosociale.

 

Questo percorso si convalida a tutti gli effetti come un fenomeno di potenziamento sia simbolico che strumentale, che ha l’effetto di condurre il bambino a padroneggiare abilità più sofisticate, ad utilizzare in modalità funzionale e consapevole il suo rinnovato registro linguistico-percettivo, espandendo valide possibilità di azione non dapprima contemplate o sperimentate. In buona sostanza, il bambino guadagna un margine esplorativo che prima non conosceva, riscoprendo le possibilità evolutive di un nuovo agire. Diventa certamente molto importante che l’esperienza acquisita produca in ciascun caso delle costanti, ovvero degli elementi di significazione guida che dovranno costituire i pilastri portanti dell’esperienza percettiva del bambino, perché questa prosegua secondo canoni che garantiscono al bambino una visione di sé e del mondo dai connotati sicuri e da coordinate che possano indirizzarlo verso mete certe, che poi potrà liberamente rinegoziare nel prosieguo della sua esperienza esistenziale. Il riconoscimento di una presenza stabile e di una cornice di significazione solida e affidabile è da considerarsi un’esperienza fondamentale per un bambino, specie per colui che è stato aiutato nella costruzione o nel recupero di questo essenziale equipaggiamento di abilità, strumenti, risorse e competenze.

 

Il ruolo educativo e mediatore dell’adulto è fondamentale per restituire e proporre al bambino ciò che egli, in una fase prima, non è ancora del tutto in grado di assimilare ed elaborare con sufficiente sicurezza, capacità ed autonomia. Pertanto, fra l’esperienza sensoriale del bambino e le possibili metafore incompiute ed incomprese che non possono costituire un orizzonte valido di significato, l’adulto compensa temporaneamente questo vuoto, vicariando il deficit della funzione rielaborativa da parte del bambino, confrontando lo stesso con archetipi e ripercussioni intrapsichiche a cui si conferisce un senso più strutturato e maturo. L’adulto compie questa opera di interpolazione, assolvendo ad una funzione trasformativa che confluisce inevitabilmente nel mondo delle percezioni del bambino, proponendo quindi un piano fenomenico e rappresentativo che può essere visibile sullo sfondo di un rapporto in cui un soggetto assume il ruolo di guida esperta, accompagnando l’altro a sviluppare col tempo una sua personale modalità di significazione. Tale funzione deve infatti avere il carattere della temporaneità, altrimenti il tutto degenera in un rapporto simbiotico in cui l’elemento dominante impedisce a chi assume la posizione “down” di crescere e di impiantare una propria individualità. Pertanto, l’adulto che riveste la funzione educativa strutturata è consapevole della transitorietà della sua collocazione nella complementarietà del rapporto fra le parti, ed assume la sua funzione  di guida agli "elementi Alfa’ (come direbbe Bion) assecondando la natura di un processo destinato a riconsegnare al bambino la capacità a provvedere da sé a significare il proprio mondo, pur riconoscendo come tale compito si presti inevitabilmente a lasciare rilevanti tracce guida all’interno dell’esperienza psichica del bambino.

In termini più pratici, la funzione dell’adulto è di convertire gli elementi grezzi e rudimentali dell’esperienza sensoriale del bambino, dentro un tracciato in cui le metafore si trasformano in parole, la tangibilità delle cose progredisce a sollecitare la tensione esplorativa e di ricerca, le emozioni turbolenti diventano spiegazioni del Sé e del funzionamento da parte dello stesso, implementandone l’uso più idoneo e funzionale.

 

Una delle tecniche più immediatamente disponibili a cui può ricorrere l’adulto, riguarda la creazione di momenti di condivisione mediante i quali sollecitare l’orientamento visivo del bambino verso qualcosa che si può osservare in contemporanea. Ciò favorirà lo sviluppo dell’attenzione congiunta, che costituisce un passaggio essenziale nel considerare come l’esperienza del proprio sentire possa essere interconnessa con un referente relazionale, e come la stessa progredisca poi verso la differenziazione, ovvero verso la consapevolezza che le proprie rappresentazioni non sono mai del tutto sovrapponibili all’altro da Sé, e che gli altri possono avere concetti e pensieri diversi dai propri. Questo passo agevola e determina il percorso verso l’uscita da un rarefatto egocentrismo sterile e bloccante, per cedere verso la dimensione della metacognizione e della teoria della mente, ovvero nella maturazione di quegli imprescindibili criteri attraverso cui poter accogliere, comprendere ed accettare la diversità altrui, dischiudendo la possibilità di costruire relazioni fondate sul confronto costruttivo e solidale.

 

Trovare i codici per decriptare i propri sentimenti è il primo ragguardevole passo introduttivo verso la capacità nell’attribuire vissuti e stati emotivi differenziati agli altri, assicurando importanti abilità di base quali l’empatia e il consolidamento di legami stabili e funzionali. In assenza di questa importante condizione propedeutica, viene reso difficile l’ingresso alla dimensione ‘metarappresentativa’, cioè quella competenza interpersonale che garantisce l’investimento affettivo nel campo delle relazioni interpersonali, connotandole da un appropriato gioco di equilibri fra identità e alterità, intrecciando cioè il senso di sé e il senso dell’altro, in un confronto aperto che non cade nelle trappole estreme dell’identificazione fusiva da una parte e del distacco asettico dall’altra.

 

L’importanza di conferire significati all’esperienza sensoriale si comprende dal momento in cui si può osservare come la dinamica del rapporto oggettuale non permetta l’espressione di comportamenti determinati dall’applicazione o dalla ricerca  di una sequenza di step regolari e ordinati. A dominare, in pratica, sono invece comportamenti caratterizzati da moti perpetui, ridondanti e ritualistici, dentro i cui schemi di azione, gli oggetti possono essere trattati e fruiti al medesimo modo, riducendo l’agire del bambino dentro un orizzonte limitato, afinalistico, in cui non vengono stabilite o ricercate gerarchie e priorità all’interno dello stesso script. Lo scenario si svolge cioè assecondando esclusivamente la tendenza all’esclusivo appagamento sensoriale, in acritica obbedienza al principio del piacere. L’energia residua eventualmente non sfogata attraverso la manipolazione di cose esterne, potrebbe essere anche in parte rivolta su di sé, spingendo il bambino ad iperstimolare anche il proprio corpo, magari per mezzo di una eccessiva sollecitazione autoerotica che si autoalimenta del suo stesso vuoto che lascia, arroccata come è in un quadro di autoreferenzialità e mancanza di autocontrollo. In definitiva, l’agito prevale sul progetto, la pulsione vince sull’ideazione, la dispersione domina sul senso di integrità, il processo primario sensoriale vive di una propriocezione insaziabile e diretta a un’attività senza scopo, impedendo l’origine di un livello operatorio superiore che soddisferebbe invece il bisogno di ordine, gerarchia degli stimoli e organizzazione dell’esperienza. Il soggetto non accede quindi ad una lettura più sobria del suo vissuto, e ne viene semplicemente avvinto e forzato, anteponendovi un minimo sforzo di volontà e di iniziativa costruttiva.

 

Sullo sfondo dello scenario esistenziale del soggetto, può anche intravvedersi od essere accertata la pregressa mancanza o insufficienza di una relazione di attaccamento abbastanza buona, che non ha cioè realizzato un sano equilibrio fra il bisogno esplorativo e quello di protezione, entrambi regolati in funzione della tipologia qualitativa del legame con le figure primarie rilevanti nel processo affettivo da cui si ricevono cure, attenzioni, ascolto e soddisfacimento dei propri bisogni. Nella letteratura clinica sono noti e riportati casi di bambini che hanno acquisito comportamenti fuggitivi e di rapidità manipolatoria nei confronti degli oggetti a seguito della loro storia di attaccamento, da cui si è dovuta rilevare la mancanza della continuità affettiva, con episodi di consegna ed interruzione a diversi punti di riferimento instabili e non duraturi.

 

Le deficienze della funzione oggettuale sono degli apripista verso l’ampio corollario clinico dei disturbi a carattere psicosomatico. Il correlato comportamentale di questa configurazione personologica può essere riscontrabile nel constatare come il bambino privilegi il passaggio all’atto nell’essere pervaso dal’istantaneità della pulsione, piuttosto che costruire cornici descrittive che abitano su un piano mentale e per l’appunto rappresentativo.

 

Un corpo ha una storia. Un corpo è una storia

La prevalenza di un flusso stimolatorio con un così alto carattere di intrusività, finisce per far primeggiare la pulsione a scapito dell’elaborazione cognitiva. In mancanza del filtro della funzione rappresentativa, l’impatto delle sollecitazioni psichiche interne non trova un argine e un adeguato processo di metabolizzazione, finendo per sedimentare e scaricare successivamente nell’apparato corporeo e fisiologico-organico del bambino, come ulteriori segnali di presenza di un disadattamento al quale non si riesce a trovare un nome ed opportune vie di contenimento regolativo.

 

La presenza di una struttura ipereccitata è in grado anche di descrivere la qualità e l’intensità della regolazione e del mantenimento della tensione muscolo-motoria nel soggetto in esame. La paratonia del tipo “iperattivo” verrà molto più che probabilmente valutata a carattere ipertonico, ovvero connotata da rigidità e da eccessiva tensione. Un maggiore riscontro a riprova di ciò, potrà essere misurato segnalando la comparsa di emicranie, cefalee o torcicollo.

 

Da qui l’importanza di prevedere il ricorso a metodologie di abbattimento tensionale, favorendo il rilassamento e la distensione. Un corpo che viene ammorbidito e rilassato facilita un’adeguata risposta somatopsichica, nello specifico caso guadagnando l’eutonia tonico-muscolare e riducendo le manifestazioni dolorose dei correlati fisiologici alla propria condizione vitale.

È necessario sublimare le energie in eccesso in attività motivanti e rispondenti ai bisogni ed alle attitudini individuali del bambino.

 

Le tecniche da cui attingere tali suggerimenti operativi possono provenire dagli ambiti più trasversali delle condotte umane legate al mondo dello sport, dell’arte, delle discipline spirituali.

 

In ciascun caso, è importante che l’esperienza ludica venga completata da un significato da ascrivere; dovrà cioè essere arricchita da input e opportunità stimolatorie che invitino alla riflessione e all’interpretazione del legame vicendevole fra eventi esterni e vicissitudini interiori.

 

In questo modo, potrà essere consegnata al soggetto la possibilità di edificare un’impalcatura di memorie emotive pregnanti, data anche la particolare labilità mnestico-operativa di tale categoria di persone, che fanno fatica ad utilizzare la memoria di lavoro in maniera efficiente,  nella risoluzione di percorsi di problem-solving. Ricordando, rifacendo, reperendo nessi e connessioni, sia pratiche che simboliche fra le cose, il bambino comincia a costruire una sua identità, a disegnarsi dentro un profilo che acquista finalmente senso, che assolve ad una direzione da intraprendere, magari sempre più connotata dalla propria volontà e autonomia decisionale, contando sul fatto che può imparare a gestire e prevenire i rischi di un comportamento problemico.

 

È questo, peraltro, il piano decisivo atto a riscattare l’esistenza spesso molto difficile di tali individui. Un intervento educativo a carattere globale dovrà tenere conto del polimorfismo espressivo ed esistenziale del bambino classificato come ADHD, per trattare il bambino e non l’etichetta, per curare la persona e non la sindrome. Anche questo approccio impegna allo stesso modo l’adulto su un piano di lettura più progredito ed affidabile, in grado cioè di farsi carico e interprete dei più autentici e profondi bisogni della persona, perché la dimensione dell’interiorità emozionale, degli affetti e della relazione non vengano soppiantate dagli eccessi di un paradigma medicalizzante.

 

Obbliga inoltre ciascuno di noi a rivalutare il semplice dato di fatto che il comportamento di un bambino altro non è che molto spesso la cartina di tornasole del clima emotivo e relazionale che l’adulto ha socialmente creato, pertanto le risposte più efficaci non potranno che scaturire da coraggiose, approfondite ed anche impopolari analisi e riflessioni su tutte le distonie che produciamo come civiltà, molto spesso produttrice di modelli comunicazionali e stili di vita decisamente deleteri e più che discutibili.

 

Le contromisure dovranno dunque provenire principalmente dall’area dell’educabilità. Spetta dunque alla pedagogia indicare percorsi e strumenti, saper dimostrare di appropriarsi di risorse e strategie attendibili, in modo da poter anche essere completata una maggiore risposta volta alla promozione e alla tutela del benessere di chi è raggiunto da disagi e difficoltà di una tale portata.

 

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socio-educativo, Educatore professionale adh, Formatore analitico-transazionale)

 

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