I BAMBINI? FACCIAMOLI DIVERTIRE E IMPARARE COL DISEGNO. Importanti implicazioni educative e nelle dinamiche dell’apprendimento legate alle attività grafo-pittoriche

Pubblicato il da Nuccio Salis

La relazione fra il disegno e le abilità motorie, ai fini di un controllo volontario per eseguire atti finalizzati, è un aspetto decisamente importante nei processi evolutivi e dell’apprendimento, nonché un argomento di notevole complessità. Dal punto di vista grafo-motorio, il disegno potrebbe essere l’equivalente della prima scrittura del bambino. Come per la scrittura, infatti, un disegno che vuole essere riprodotto intenzionalmente, ovvero seguendo regole di rappresentazione figurale, richiede competenze ed abilità assai raffinate.

Evocare l’immagine da riprodurre richiama in gioco la capacità astrattiva, così come raffigurarla ed imprimerla mediante strumento tracciante, necessita di una pratica motoria che coinvolge l’intero dinamismo cinestestico-corporeo. Il dialogo sincronico fra la mano e l’occhio, per esempio, è una delle condizioni di base che permette la buona riuscita di un tracciato segnico coordinato, fluido e armonioso. Questa fondamentale impalcatura consente di organizzare efficacemente la linearità del segno, di guidare il tracciato in modo finalizzato, facendo capo alla propria volontà, restituendosi la soddisfazione ed il piacere di aver realizzato e riportato al di fuori, ciò che prima abitava nel mondo dell’ideazione e della fantasia.

Ricorrendo all’attività del disegno, un bambino esporta su una superficie le proprie impressioni, dando forma a tutto ciò che popola il suo mondo interiore di emozioni, sentimenti e suggestioni spesso non intellegibili in modo cosciente dallo stesso soggetto che li contiene nella sua dimensione intrapsichica. Oltre agli effetti catartici del processo creativo e ideativo legato alle molteplici possibilità di composizione/scomposizione dell’immagine, l’elaborazione segnica di una figura mobilita una serie di capacità che sono incluse nel rapporto che il corpo ha con se stesso e con l’ambiente con cui si entra in relazione, secondo una prospettiva interdinamica e circolare.

Prima di arrivare ad esercitare la competenza scrittoria vera e propria, ovvero quel processo di riproduzione dei singoli grafemi inclusi nel codice segnico-alfabetico proprio della cultura di riferimento del bambino, egli ha già in precedenza appreso l’abilità manipolatoria dello strumento tracciante, ha imparato ad organizzare lo spazio in microscrittura (cioè tenendo conto della reale possibilità espansiva consentita da una superficie limitata), ha preso confidenza con i concetti spaziali di alto, basso, destra, sinistra; e sulla base di queste coordinate ha gestito la rappresentazione figurale su un area qualsiasi (parete, cartellone, foglio bianco, campo vuoto ecc.). Grazie alle possibilità espressive in toto, offerte dall’atto del disegnare, il bambino ha così già compiuto, in generale spontaneità, i gesti preliminari finalizzati al processo della letto-scrittura.

La gestione appropriata degli orientamenti spaziali alto/basso e destra/sinistra, è infatti la competenza neuromotoria essenziale per poter imprimere su una superficie un “buon gesto”, come risultato di armonie ed equilibri sia interni che esterni.

La traccia incisa su una superficie, dunque, informa sulle caratteristiche dell’autore che la rende visibile, rendendo inferibili dati di natura personologica e, per l’appunto, quelli relativi al livello di consapevolezza e uso adeguato del Sé corporeo. Il disegno si offre quindi anche come possibile strumento di indagine e di esplorazione analitica sul soggetto che lo ha riprodotto.

Diventa cioè possibile descrivere il rapporto fra il grafismo e le componenti topologico-spaziali, nel processo evolutivo.

Esiste un legame per davvero indissolubile fra distribuzione orientata del tracciato segnico in una superficie e vissuto della spazialità corporea.

Le componenti coinvolte nel processo evolutivo della consapevolezza corporea, che racchiude la capacità di rappresentare se stessi e di variare l’orientamento della struttura corporea anche mediante processi astrattivi, possono essere sollecitate dalle esperienze esplorative nello spazio, mediante l’attitudine al movimento. Di fatto, è il vissuto interattivo con la dimensione spaziale, che offre al bambino la possibilità di acquisire il significato della direzione, della profondità, dello spostamento. Il bambino che può saggiare liberamente la superficie spaziale, comincia ad impadronirsi di queste nozioni, dapprima introiettate e vissute mediante il corpo. È questa esperienza che autorizza ad accedere a concetti quali alto/basso, destra/sinistra, che costituiranno rudimenti per una più facile acquisizione del successivo processo della letto-scrittura, intesa come prestazione dell’allievo durante l’età scolare. Tale sofisticata competenza, infatti, è una risultante complessa di fattori cognitivi, cinestetico-corporei ed affettivo-emozionali. Le sue basi sono rintracciabili nella complessità dei dinamismi legati al corpo (postura, tonicità, equilibrio, cinesie); ed è questa importante scoperta che permette alla pedagogia clinica di programmare interventi mirati alla riattivazione di eventuali equilibri perduti o non sufficientemente consolidati. È l’identificazione in un paradigma olistico che rende possibile alla pedagogia il collaudo di tecniche indirette, accattivanti e non invasive, il cui carattere ludico, e nel contempo scrupoloso verso i soggettivi livelli di attenzione e faticabilità di ciascuno, facilita la collaborazione attiva del soggetto destinatario dell’intervento.

Nel considerare il corpo molto più che un mero agglomerato meccanico di funzioni ed apparati, lo si riqualifica come un mezzo espressivo che completa e definisce l’identità somatica e psichica della persona. L’Io della persona è anzitutto un’entità esperibile attraverso il corpo, e pertanto l’educazione al movimento è assunta come la più straordinaria ipotesi di risveglio dell’autonomia e della coscienza di sé, in un individuo. Gli ausili che possono essere impiegati risentono di una sconfinata variabilità, in funzione degli obiettivi preposti ma anche delle caratteristiche personali sia del professionista che della persona a cui viene diretto l’intervento.

Dunque, al centro c’è il corpo, fucina di ogni manifestazione in grado di descrivere la persona in termini di capacità di adattamento proattivo, ovvero è nell’esame della generale espressività corporea, che possiamo valutare il livello più o meno adeguato di reattività di ciascun soggetto e verificare come questi si propone nei confronti di un ambiente che richiede aggiustamenti.

Molto sinteticamente, a titolo di esempio, un tono muscolare contratto è indicativo di stati tensionali o possibili disagi somatici, mentre una tonicità eccessivamente distesa fino all’ipotonicità, è segno di ripiego e chiusura.

In virtù di questa serie di dichiarazioni, si evince che anche nell’affrontare il rapporto fra l’attività del disegno e le abilità motorie finalizzate, il corpo si assurge a protagonista centrale anche di questa esperienza. Ciò ci obbliga a non limitare il pregrafismo del bambino ad un mero apprendimento di segni, da investire poi come una naturale conseguenza nella riproduzione dei grafemi dell’alfabeto. Ciò che bisogna prendere in totale considerazione è il corpo come unità sinergica di tutte le sue abilità, investite in ogni suo atto.

La proprietà dell’attività segnica come esperienza mediatrice fra l’Io corporeo e l’ambiente, diventa anch’essa correlabile alla qualità dei processi dinamico-strutturali relativi all’esperienza cinestetico-corporea. Ciò equivale a dire che il bambino che ha introiettato le nozioni inerenti alla spazialità, impiegando il movimento, può riportare tali concetti su superfici limitate, di piccolo campo, trasducendo le informazioni topologiche in riproduzioni segniche (grafemi), codificabili secondo i canoni condivisi di lettura, quindi socialmente comprensibili.

Questo processo avviene senza ostacoli all’interno di un quadro di sviluppo tipico, e pertanto il bambino può trasformare le intuizioni topologiche in una successiva metrica euclidea, grazie alla quale può comprendere ed utilizzare parametri di riconoscimento e strumenti di misurazione oggettiva delle forme, che permettono accomodamenti verso un principio di oggettività e di ragionamento logico-causale.

Sarebbe opportuno ed auspicabile, a mio modestissimo parere di conduttore di svariati laboratori legati alle attività grafo-pittoriche, recuperare questo tipo di proposta operativa, dal momento che essa non si presenta come un mero ‘ammazza-tempo’, quanto come una vera e propria risorsa strategico-educativa, dalle importanti valenze in termini di sviluppo di abilità e di apprendimento. Senza naturalmente tralasciare la fruizione ludiforme che rende il compito del bambino piacevole, distensivo ed appagante, favorendo cioè le condizioni essenziali per una sana evoluzione.

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socio-educativo, Educatore professionale, Formatore Analitico-Transazionale)

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