LE BUGIE NEL MAGICO MONDO DEI BAMBINI. Credenze, fantasia o malafede?

Pubblicato il da Nuccio Salis

“La fantasia non è una bugia”, sostiene il noto autore letterario Daniel Pennàc. Ho voluto cominciare questo articolo citando questa frase di uno dei più apprezzati e contemporanei romanzieri francesi, proprio perché questo piccolo enunciato si muove nella direzione di far riflettere circa i contorni sfumati o in parte sovrapponibili che esistono nel rapporto fra fantasia e bugia.

Se infatti, per diffusa e comune tradizione, ai due concetti viene riconosciuto un rapporto di antagonismo e opposizione, in questa espressione viene invece provocatoriamente ribaltata questa ipotesi e restituita la possibilità di pensare a un legame contiguo fra le due variabili in gioco.

È noto che nella società adulta occidentale, materialista, secolarizzata, tesa al soddisfacimento personale e alla ricerca del profitto utilitario, la fantasia è relegata superficialmente nell’ambito dell’irreale, accettata come naturale produzione del pensiero che per svariate ragioni organizza la fuga da ciò che invece è considerato autentico ed intellegibile. In pratica, questa attitudine dalla forza eidetica e dalla prorompenza trascendente, finisce soltanto per essere svalutata sotto il rigido dominio di un razionalismo unilaterale, cieco, sprovveduto e limitato.

Secondo la cornice di questo paradigma, la fantasia assume una connotazione negativa, che può emarginarla come un processo di interferenza da sopprimere, prevenendone la sua manifestazione a carattere disturbante, in quanto inconciliabile con i percorsi logici, prefabbricati e rassicuranti di una ragione che teme di guardare il fondo dell’abisso e di fare la scioccante scoperta dell’esistenza dell’imponderabile.

All’interno di questi steccati concettuali, a questa preziosa attività umana è riservata soltanto la funzione di ostacolo, dal momento che può mettere in discussione le aspettative programmate da un pensiero tendente a sistematizzare obiettivi ed associati espedienti per raggiungere i medesimi, organizzandone i percorsi con scrupolosa attenzione al dettaglio.

In questo senso, la fantasia diviene come una sorta di voce interiore che rimane però un soggetto da non prendere mica sul serio, quasi fosse un piccolo malessere con cui convivere o di cui lenire o scacciarne gli effetti ricorrendo a rimedi farmacologici.

Per questa ragione si sente spesso dire che “i bambini hanno molta fantasia”, come rassegnandosi al fatto che ai ‘piccoli adulti’ debba essere concessa per motivi di incapacità evolutiva, l’esistenza di una dimensione a-razionale, che distrugge il senso comune, sovverte l’ordine dei valori e delle priorità, minaccia la stabilità dei propri costrutti e sfida il primato della ragione.

Insomma, la fantasia sarebbe presente nel bambino a causa della sua immaturità, quindi la richiesta sociale consiste nel compiersi come adulto sprovvisto di questo tipo di manifestazione del pensiero, quantomeno nel suo carattere volontario.

Per l’individuo contemporaneo, meccanicizzato da una cultura che ha fatto della tecnologia una ideologia, la fantasia è solo una bugia. Come lo sono i sogni, recepiti come casuali, insignificanti e distraenti rispetto al richiamo di ciò che viene chiamato realtà.

In sintesi, la bugia, tollerata nei bambini, anche se in modo tuttavia scomposto, è decisamente da disapprovare negli adulti, almeno secondo i canoni di questa impostazione culturale. Se infatti vi è presente, allora non potrebbe nemmeno escludersi che l’ambito di pertinenza a cui viene associata potrebbe essere quello della psicosi. Pronunciare bugie, dichiarare il falso su di sé, sulle proprie intenzioni, sulla visione di mondo o travisare i connotati della propria identità, può essere riconosciuto come un atto di sovversione della realtà, avvenga ciò anche in assenza di malafede.

Non si dimentichi quanto siamo tutti costantemente pronti e allertati a censurare testimonianze, ipotesi o racconti che non rientrano nella condivisa percezione comune in merito alla rappresentazione diffusamente accettata del concetto di realtà.

La fantasia è dunque sempre una forma di devianza, nel nostro mondo di adulti che insegna e raccomanda ai bambini di non dire le bugie, mentre ipocritamente, da cattivi maestri quali siamo, guide cieche di ciechi, edifichiamo tutto il nostro piano di realtà sulla più avvilente menzogna.

E procediamo così, da una parte impauriti dalla dirompenza delle suggestioni fantasmagoriche e dalla loro travolgente valenza di imprevedibilità, che spingono a contemplare ipotesi di cambiamento, avvertite come impareggiabili intimidazioni alla nostra sicurezza, e d’altra parte non rinunciamo ad attingervi surrettiziamente per apporvi l’impronta dell’inganno e della mistificazione, che dopotutto altro non sono che opera di una fantasia votata al male e al cattivo uso.

È in questo frangente che si potrebbe avanzare l’istanza che promuove la necessità di educare alla fantasia. Certo, tenendo conto del principio che non si dovrebbe insegnare niente di cui non si è in possesso, il reperimento di buoni maestri in questo caso diventa seriamente dubitabile.

2. Ma una volta realizzata questa estesa e pregevole premessa, una possibile domanda da formularci potrebbe orientarsi proprio sulla conoscenza dell’attività fantastica del bambino, affinchè non si mettano su un piano di giudizio morale la bugia e la fantasia, nell’ambiente psichico del bambino stesso. Ciò risulta peraltro proprio l’errore più frequente degli adulti, che perseverano nel confondere appunto i processi e le espressioni interiori del giudizio di realtà da parte del bambino, con i meccanismi intenzionali e volontari che vengono coinvolti per pronunciare il falso.

In una mente che giustappone il dato rilevato dall’esperienza tangibile con l’imago interiore, la combinazione sinergica fra bugia e fantasia non assume precisi confini e chiari spartiacque fra l’una e l’altra variabile, poiché tutto assurge ad una unica dimensione in cui tale dualità non conosce antinomie ed opposizioni.

In altre parole, il bambino non ha nessuna difficoltà ad asserire simultaneamente il principio di identità/uguaglianza con quello di disparità/differenza, fra due termini od oggetti collegati e reciprocamente confrontati. Sdoppiamento e integrazione possono convivere violando ogni congruenza e ignorando il principio di non contraddizione.

In un percorso evolutivo che ricopre almeno fino agli 8 anni, il bambino passa dal concepire una bugia anche come una semplice “parola cattiva” (parola tabù o parolaccia), fino ad eguagliarla all’errore (sia esso praticato o pronunciato con o senza volontà), per poi cominciare a comprendere che la bugia è un’affermazione intenzionalmente falsa. In questa ultima circostanza non è più una bugia dire (anche sbagliandosi per via di un errato convincimento) che 2 più 2 fa 5. Così come non sarà più una bugia affermare di aver visto, per esempio, “un gatto grande quanto un bue”, in quanto se ne può correttamente interpretare il valore metaforico.

Ma prima di allora, la fantasia del bambino non sarà che un guazzabuglio galoppante caratterizzato dalla commistione di concetti, immagini, percezioni, ideazioni e aspettative che sfuggono alla regolarità ed alle norme del pensiero logico. A prevalere sarà invece il carattere intuitivo e prelogico del pensiero, e che certamente arricchisce le implicazioni anche nella dimensione affettivo-emotiva del bambino. Una fantasia potrebbe facilmente legarsi ad un carattere oggettuale saliente in grado di catalizzare l’attenzione e l’interesse del bambino in modo tale da usare quel particolare come “ancoraggio” per successive spiegazioni generalizzate del fenomeno. In pratica, un dettaglio vissuto come rilevante investe il significato totale dell’esperienza percettiva in relazione all’oggetto. È questo sincretismo globalizzante a costituire in fin dei conti quel principio di minimo sforzo ed economia mentale che nell’adulto si manifesta sottoforma di pregiudizio e di effetto alone. Anche l’adulto recupera e regredisce spesso e volentieri a queste primordiali forme di pensiero ipersintetico, che riduce e semplifica, che evita di approfondire nel merito una questione e preferisce etichettare e creare categorie sulla base di implicite teorie che hanno la funzione di difendere a oltranza le proprie false od obsolete credenze. Si tratta cioè di un processo di ragionamento grezzo e rudimentale che preferisce le analogie immediate allo sforzo della deduzione e della ricerca personale.

A fronte di tali conoscenze, non possiamo più affrancarci dalla responsabilità di un’interazione educativa consapevole nei confronti dei bambini, dal momento che ci spetta il compito di comprendere quando le loro affermazioni sono attribuibili ad una complessa operazione di fantasia, e quando invece ad una ragionata volontà nel profferire contenuti mendaci.

Per quanto si evince già dalla letteratura scientifica classica, le conclusioni a seguito di numerosi colloqui coi bambini, allo scopo di indagare le forme e le strutture del loro pensiero e della loro percezione, ci aiutano a classificare la capacità di inventiva dei bambini ad almeno 5 risposte comportamentali possibili.

Esiste una reazione di totale incuranza a riportare affermazioni che abbiano la purchè minima plausibilità o congruenza. Le risposte fornite dal bambino sono cioè del tutto casuali e acausali. Egli non si impegna nemmeno a conservare la spiegazione addotta, dal momento che è talmente inverosimile da poter essere arbitrariamente soggetta a continue trasformazioni.

È necessario inoltre saper distinguere la bugia dalla affabulazione, ovvero quella produzione testuale e letteraria sottoposta all’invenzione narrativa del bambino, in cui non vi è per l’appunto un adattamento coerente e sostanzialmente credibile nella struttura del racconto. La suggestione evocativa delle parole ha la meglio sul contenuto e sulla presentabilità morfosintattica del testo.

Naturalmente è anche possibile indurre nel bambino conclusioni che non sono le sue, ma frutto di domande induttive o suggerimenti condizionanti da parte dell’adulto, soprattutto se in veste di una qualche autorità agli occhi del bambino. Nel caso questa credenza indotta o provocata dall’influenza dell’adulto, il bambino cede in modo acritico alla cornice di significato che gli propone il suo interlocutore.

È però anche possibile che, nonostante il peso delle suggestioni più o meno programmate dall’adulto, il bambino ricavi da sé le risposte o una buona parte di queste, nel tentativo di ridisegnare la sua versione del mondo, aderendo comunque alla cornice che l’adulto gli ha prescritto e preceduto.

Inoltre, come è noto, esistono anche credenze già prefabbricate dal contesto culturale in cui vive e si sviluppa il bambino, e da cui in ciascun caso il bambino potrebbe affatto non esimersi dalla facoltà di proporre una forma combinata di visione di mondo, opportunamente condotta secondo una peculiare procedura di ricognizione riadattata anche alla propria area di bisogni.

3. La bugia è un bisogno irrinunciabile?

Trovo difatti francamente utile, sia per ragioni di conoscenza intorno al tema che per motivazioni di ordine educativo, guardare al fenomeno della bugia come una necessità prima di tutto legata alla tensione verso il soddisfacimento di immancabili bisogni primari, e di conseguenza a necessità che si svilupperanno poi dentro un orizzonte personologico sempre più sofisticato e complesso. In seconda istanza vengono attivate le sfere dell’immaginario, ovvero di quella essenziale dimensione che ci caratterizza come esseri in grado di proiettare sulla realtà l’effetto costruttivo e negoziatore del nostro pensiero creatore di forme e di realtà. Questo potere si esprime ancora in modo del tutto inconsapevole negli esseri umani, e nonostante lo usino ne vengono ancora sconcertati con ineguagliabile scetticismo. Questo paradosso ci rende incoscienti rispetto alle nostre vere potenzialità, e ci rende pericolosamente in possesso di un potere che non sapendolo o volendolo riconoscere e gestire, conduce ad effetti visibilmente devastanti.

Seguitiamo a tacitare nel bambino proprio quella componente che invece dovremmo recuperare anche noi come adulti, plasmati invece da un’indolenza che ci spegne nel grigiore fosco di un intellettualismo sempre più arido e infecondo.

Sono perciò dell’idea che si debba congiungere al fenomeno della bugia come creatura fantastica dell’immaginario, una crescente rivalutazione della sua espressione e quindi della sua funzione. Non è stato certo sottovalutato, negli studi e nelle considerazioni sull’argomento qui affrontato, il ruolo che la bugia può ricoprire nella vita di un bambino. Individuiamone i principali, con l’aiuto di valenti ricercatori sul tema:

a ) Difesa, b) Gioco, c) Nascondimento.

Queste 3 categorie hanno naturalmente dei sottotipi. Il bambino può impiegare il mezzo della bugia per non subire un’ingiustizia percepita ed evitare una conseguenza avversativa da parte degli adulti, e per tutelare il proprio intimo mondo preservandolo dall’intrusione degli stessi. A volte la bugia è propriamente la manifestazione di quell’attitudine umana denominata ‘fantasia’, attraverso cui il bambino si esercita a poter concepire la possibilità di pensare oltre il dato concreto e conosciuto, a non inimicarsi con la dimensione del mistero, e ad autorizzarsi a sprigionare il proprio libero pensiero, anche nell’ipotesi che questo possa essere messo al servizio della più complessa creatività, capace di mantenere sveglio ed attivo il processo fluido e divergente del problem-solving.

La fantasia avrebbe dunque una funzione preparatoria verso futuri processi di adattamento creativo e di ri-costruzione della realtà. Questo concetto spezza la dualità rigida e inconciliabile nel rapporto fantasia e realtà.

D’altra parte, importanti personalità umanistiche come per esempio Carl Gustav Jung (1875-1961) o Giovanni Gentile (1875 - 1944), hanno sempre sottolineato l’importanza del pensiero come anticipatore di una realtà partecipata in modo tangibile dal mondo delle idee. Si tratta certamente di un cascame neoplatonico che insegna l’importanza del rapporto di contiguità fra mondo iperuranico e mondo sensibile.

È lo stesso psicoanalista svizzero ad enunciare testualmente:

Dunque, la fantasia è una forma d’energia, anche se non la possiamo misurare; è la manifestazione di qualche cosa, e questo è realtà, allo stesso modo del trattato di Versailles o di avvenimenti del genere” (C.G. Jung, in “Psicoanalisi o psicologia analitica”, Roma, Newton&Compton, 1998, p. 74)

La fantasia, come la bugia, senza dubbio può palesemente divertire, in quanto possiede quella forza umoristica insita nel sovvertimento delle regole di realtà. Camuffare, travisare, distorcere, sono esercizi di una mente equipaggiata verso la costruzione di un rapporto con la realtà che non è solo da subire ma soprattutto da trasformare, partecipandovi attivamente e da protagonisti.

Non meno importante, piuttosto, risulta evocare la bugia come risorsa per riparare i propri sentimenti e il proprio vissuto. Si tratta di un espediente mediante cui il bambino riesce a togliersi dall’impasse di una situazione imbarazzante, e che si appalesa in una pseudobugia, ovvero nell’invenzione di un racconto teso a ridimensionare la frustrazione che il bambino può vivere a seguito di una sua percepita invasione eccessiva nel suo mondo, da parte di terzi.

Si può serenamente evincere che, in mancanza di tali preziose conoscenze, l’azione educativa dell’adulto sul bambino potrebbe essere viziata dai preconcetti morali del primo, cagionando danni sul minore, in quanto soggetto coercitivamente a fare chiarezza in quel luogo della mente dove non è possibile pretendere che vi sia uguaglianza fra modalità del pensiero bambino e quello adulto.

Un bambino che utilizza le strutture rudimentali dell’attività rappresentativa del mondo, può non essere in grado di distinguere il senso e il valore di un’azione lecita da una non lecita, così come il significato di cosa pubblica e proprietà privata, o ancora di eccezione alla regola.

Se pressato e interrogato da un adulto sul perché delle proprie azioni, la sua giustificazione non potrebbe che risultare come un prodotto finito che però altro non è se non un adattamento passivo alle ipotesi e alle ragioni dell’adulto, di cui al bambino non resta che sposarne la spiegazione e la visione dei fatti imposti di fatto dal primo.

In questo caso, il bambino mentirebbe in quanto spinto dall’adulto a farlo, e solo perché quest’ultimo trae soddisfacimento dal confermare la sua attribuzione di realtà anche dal racconto del bambino, senza riuscire invece a sospendere il giudizio ed evitare che il bambino viva peraltro una inutile esperienza avvilente e mortificante.

Siamo dunque proprio noi adulti, molto spesso, i generatori di questo paradosso, che nella convinzione di insegnare il valore della verità ai bambini, li induciamo invece a mentire, in quanto ci sottraiamo da una parte ad approfondire, conoscere ed entrare nel merito sulla natura di tali processi, affidando tutto alla tradizione ed alla convinzione di saper fare tutto improvvisando, e d’altro canto violando con esempi incoerenti, tutto quello che abbiamo pontificato ai bambini stessi.

Saremmo più sinceri con noi stessi, piuttosto, se riuscissimo ad ammettere che la bugia ci piace, ci rassicura, ci rasserena, ci rende la vita più comoda, e che la fantasia, di contro, seguendo l’indicazione di Pennàc, può essere l’occasione straordinaria di immaginare nuovi mondi, livelli di coscienza superiori in cui ci si assume l’impegno e la responsabilità di praticare un’attività sempre più impopolare, in disuso e per questo necessaria: attendere all’esercizio della libertà e della propria autonomia di essere senziente.

dott. Nuccio Salis

(Pedagogista clinico, Counselor socio-educativo,

Educatore professionale adh, Formatore analitico-transazionale)

Bibliografia di riferimento:

.) Bettelheim B., “Un genitore quasi perfetto”, Torino, Feltrinelli, 1987.

.) Bollea G., “Le madri non sbagliano mai", Torino, Feltrinelli, 1999.

.) Jung C. G., “Psicoanalisi o psicologia analitica”, Roma, Newton&Compton, 1998.

.) Petter G., “Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Jean Piaget”, Firenze, Giunti, 2007.

.) Piaget J., “Il giudizio morale nel bambino”, Firenze, Giunti, 2009.

.) Piaget J., “La rappresentazione del mondo nel fanciullo”,Torino, Bollati Boringhieri, 1926.

.) Piaget J., “Psicologia dell’intelligenza”, Firenze, Giunti, 2011.

.) Wallon H., “Le origini del pensiero nel bambino 1”, Firenze, La Nuova Italia, 1970.

.) Wallon H., “Le origini del pensiero nel bambino 2”, Firenze, La Nuova Italia, 1974.

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